Corte Costituzionale/2. Una sentenza esemplare

Spesso, anche se non sempre, le sentenze della Corte Costituzionale hanno il pregio di essere redatte in forma chiara e comprensibile anche ai non addetti ai lavori, e di essere lucidamente motivate. La sentenza che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 8-bis del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136, è una di quelle. E forse non è un caso che il giudice relatore sul caso sia stato il prof. Sabino Cassese, illustre amministrativista noto anche per la sua apprezzata vena pubblicistica.
Secondo la Corte, dunque, “in base agli artt. 3 e 97 Cost., la progressione di carriera dei dipendenti pubblici deve avvenire nel rispetto dei principi di eguaglianza e di imparzialità, a seguito di valutazioni comparative della preparazione e delle esperienze professionali. L’art. 38, terzo comma, Cost. dispone che i disabili hanno diritto «all’avviamento professionale». Dunque, i disabili sono favoriti nell’accesso alle attività professionali e nell’inserimento nei posti di lavoro“.
Ma “nella ponderazione degli interessi in gioco, quelli ispirati al principio di eguaglianza e del merito e quelli ispirati al principio solidaristico“, prosegue la sentenza, “la Costituzione consente la prevalenza del secondo sul primo per quanto attiene all’accesso al lavoro, ma non prevede altrettanto per la progressione in carriera dei disabili già occupati“. Altrimenti si avrebbe “una irragionevole compressione dei principi dell’eguaglianza e del merito, a danno dell’efficienza e del buon andamento della pubblica amministrazione.
L’equilibrio tra i due interessi pubblici, quello che riguarda l’eguaglianza e il buon andamento degli uffici pubblici e quello che attiene alla tutela dei disabili, è stabilito dall’art. 38 Cost., che consente di derogare al primo solo per favorire l’accesso dei disabili agli uffici pubblici, non la loro progressione, una volta entrati
“.
Nella stessa direzione, fa presente la Corte, sono orientati i principali atti dell’ONU (“Regole standard sulle pari opportunità dei disabili” del 1993, e risoluzione n. 48 del 1996 dell’Assemblea generale, regola n. 7) e dell’Unione Europea (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, firmata a Nizza il 7 dicembre 2000, artt. 21 e 26), che dispongono il divieto di discriminazioni limitatamente all’accesso all’impiego.