Circa un anno fa (febbraio 2017, sentenza n. 42) la Corte Costituzionale aveva stabilito che le università potevano, nella loro autonomia, erogare corsi in una lingua straniera (non solo l’inglese) anche al fine di rafforzare l’internazionalizzazione degli atenei, ma a condizione di non «costringere la lingua italiana in una posizione di marginalità» nella loro offerta formativa.
Lunedì scorso, sulla base di questa sentenza della Corte, il Consiglio di Stato ha confermato l’illegittimità dei corsi tenuti interamente in lingua inglese, dando ragione al Tar che, nel 2013, aveva accolto il ricorso di alcuni docenti contro la delibera del Politecnico di Milano che aveva stabilito che tutti i corsi di laurea magistrale e i dottorati di ricerca sarebbero stati erogati esclusivamente in lingua inglese a partire dal 2014.
Questa decisione del Consiglio di Stato, che è sembrata a molti di buon senso, ha messo invece «tristezza» a Beppe Severgnini, che nella sua rubrica Italians sul Corriere della Sera (3 febbraio) ha scritto che «Festeggiano i Retromarcisti italiani, che registrano un altro glorioso passo indietro».
Non condividiamo la tristezza di Servergnini, perché siamo sicuri che – con l’eccezione dei pochissimi che in Italia possono dimostrare di essere perfettamente bilingui – non è possibile rendere in una lingua diversa da quella materna tutte le sfumature, i riferimenti impliciti, la nettezza concettuale che appartengono a una lingua pienamente padroneggiata. E questo non soltanto nell’area dei corsi di carattere letterario, artistico e più in generale umanistico (che anche gli studenti stranieri interessati all’Italia e al suo patrimonio culturale gradiscono di seguire in lingua italiana), ma anche in quella dei corsi di tipo tecnico e scientifico.
È vero che diversi termini inglesi sono ormai entrati nell’uso corrente (anche se in molti casi non sarebbe difficile trovare una parola italiana di analogo significato), ma nessuno impedisce di parlare in italiano utilizzando all’occorrenza tutti i termini inglesi necessari. E nessuno impedisce (e infatti è questa la soluzione che stanno adottando molti atenei) di tenere in parallelo corsi in italiano e corsi in inglese. Possibilmente corretto.
L’enfasi con la quale il presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini, ha accolto la pronuncia del Consiglio di Stato («Una bellissima vittoria» per la lingua italiana) è apparsa forse un po’ eccessiva, ma si spiega alla luce della gioia per lo scampato pericolo.
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