Confindustria/2. L’occasione perduta

Già tra il 2003 e il 2005 Confindustria si è battuta con qualche successo per condizionare e contenere la ‘licealizzazione’ dell’istruzione tecnica prevista dalla riforma Moratti, ma è soprattutto negli ultimi quattro anni, in sostanziale consonanza con i ministri Fioroni e Gelmini, che l’associazione degli industriali si è impegnata con tutte le sue energie per riconsolidare i principali indirizzi dell’istruzione tecnica (scarsa attenzione ha riservato agli istituti professionali) perché, come ha ripetuto Rocca a Modena, “i diplomati tecnici sono una risorsa fondamentale per l’Italia, soprattutto per quel ricchissimo tessuto di imprese medie e piccole che costituisce la dorsale della nostra industria”.

Servono perciò, ha detto il vicepresidente di Confindustria, “istituti tecnici che siano scuole dell’innovazione manifatturiera”, e dai quali escano in numero consistente giovani diplomati già pronti per immettersi in un mercato del lavoro che riserva loro grandi opportunità.

Di fatto, tuttavia, non solo i diplomati (e soprattutto le diplomate) sono pochi, ma molti di loro scelgono di continuare gli studi all’università. E quelli che entrano nel mercato del lavoro spesso non hanno le competenze richieste dalle aziende. Se l’Italia (e Confindustria) avessero puntato a suo tempo su una forte e stabile fascia bi-triennale di formazione tecnica superiore applicata, come hanno fatti molti altri Paesi europei, oggi ci sarebbero in Italia molti più diplomati tecnici, e molti meno laureati frustrati.

Questa situazione è aggravata dal vuoto negli organici del personale docente riferito ad un numero crescente di discipline per l’area tecnico-scientifica. Segni di carenza di aspiranti all’insegnamento sono evidenti per i docenti in possesso di abilitazione ma anche per i docenti tecnico-pratici diplomati impegnati nei laboratori o in insegnamenti particolarmente professionalizzanti. E’ concreto il pericolo che vengano a mancare in futuro proprio quei docenti che servono per far crescere il numero dei giovani diplomati e per recuperare i deficit accumulati nel rapporto con il lavoro e le professioni.