Comprendere i significati del rifiuto all’esame orale di maturità di alcuni studenti

I recenti episodi di studenti che si sono rifiutati di sostenere il colloquio d’esame di maturità o di rispondere alle domande della commissione, lungi dall’essere pure bravate o superficiali provocazioni, rappresentano un segnale evidente di un disagio profondo e stratificato che affonda le radici in un sistema scolastico che, in alcuni suoi aspetti, sembra aver perso il contatto con le reali esigenze e i bisogni degli studenti. Sebbene sia doveroso riconoscere, come sottolineato dal Prof. Italo Fiorin, che non tutte le scuole superiori presentano le stesse fragilità e che esistono numerose “realtà felici”, è innegabile che questi episodi critici meritino un’attenta analisi e una riflessione strutturata sul futuro della valutazione e della didattica.

Uno dei nodi cruciali del problema risiede nell’eccessiva enfasi sulla competizione che ha pervaso le scuole superiori. La logica della “performance aziendalista”, per usare le parole di Aluisi Tosolini, o la teoria che “per apprendere occorre soffrire”, hanno trasformato l’ambiente scolastico in un campo di battaglia dove il successo individuale è spesso misurato in termini di punteggi e classifiche. Questo approccio, che privilegia la competizione, finisce per escludere anziché includere.

La scuola dovrebbe essere, per sua natura, un luogo di cooperazione e collaborazione, dove gli studenti imparano a lavorare insieme, a condividere conoscenze e a sostenersi a vicenda. La competizione, se non bilanciata e orientata alla crescita individuale e non solo al puro risultato, genera frustrazione, ansia e, in ultima analisi, può minare la fiducia in se stessi e nel sistema. Il boicottaggio del colloquio, in questo senso, può essere letto come una critica profonda ai “meccanismi di valutazione scolastici”, percepiti come eccessivamente competitivi e disconnessi da una reale comprensione degli studenti.

La contestazione degli studenti evidenzia una relazione asimmetrica tra docenti e studenti, spesso basata su precetti e direttive piuttosto che sull’ascolto e il dialogo. Come evidenziato da Tosolini, l’Ordinanza Ministeriale 67 del 31 marzo 2025, pur chiarendo che il colloquio d’esame dovrebbe servire a verificare la “maturità” dello studente valorizzando la capacità di analisi critica, di correlare le conoscenze e di argomentare in maniera personale e interdisciplinare, sembra rimanere lettera morta in molte realtà scolastiche. La domanda provocatoria di Tosolini, “quante delle scuole dove gli studenti hanno ‘boicottato il colloquio’ avevano precedentemente attivato un dialogo costruttivo con gli studenti sulle scelte connesse ai criteri di valutazione?”, pone l’accento sulla mancanza di coinvolgimento e di ascolto. I bisogni degli studenti, le loro ansie, le loro aspirazioni e le loro paure rimangono spesso inespressi, soffocati da un sistema che privilegia la trasmissione unidirezionale del sapere. Antonio Polito sottolinea come l’ansia costante e la visione catastrofica del futuro, alimentate dalla società adulta, spingano i giovani verso un “nichilismo esistenziale”.

In questo contesto, il rifiuto di parlare all’esame di maturità non è una semplice manifestazione di paura, ma, come suggerisce Tosolini, una “scelta matura” per contestare il voto e il modo di agire della scuola, un modo per affermare che “un altro modo di essere è possibile”. Il terzo e forse più cruciale aspetto riguarda la valutazione. Non si tratta di eliminare la valutazione, che è un elemento essenziale del processo di apprendimento e una componente ineludibile della vita. Il problema risiede in “come deve essere fatta la valutazione”. Attualmente, la valutazione spesso non coinvolge gli studenti, non li aiuta a comprendere il proprio percorso e, in particolare, non fa emergere il loro orientamento futuro. La mancanza di criteri condivisi e la scarsa trasparenza rendono il voto e la valutazione, agli occhi degli studenti, un’incognita inspiegabile, la “spia di un disagio che va esplorato e analizzato per individuare aggiustamenti”. È fondamentale che la valutazione sia uno strumento di crescita e non solo di giudizio.

L’alunno deve essere messo in condizione di confrontarsi con la valutazione, di autovalutarsi e di comprendere i criteri che la sottendono. Ci deve essere chiarezza e coerenza, nel rispetto di regole condivise. Gli studenti devono imparare a vivere la valutazione non come una minaccia, ma come un’opportunità per misurare i propri progressi e per affrontare con serenità le sfide future. La visione del Ministro Valditara che equipara il rifiuto all’esame a una “paura del giudizio” e a una “irresponsabilità” rischia di interpretare il disagio degli studenti come una semplice devianza da “disciplinare”, anziché come un prezioso feedback su un sistema che necessita di essere ripensato. In conclusione, gli episodi di contestazione alla maturità non sono un problema isolato, ma la manifestazione di un disagio più ampio. Affrontare questo disagio significa andare “a monte”, ripensando il ruolo della scuola non come luogo di mera trasmissione di conoscenze e di competizione, ma come ambiente di cooperazione, ascolto e dialogo.

Una valutazione chiara, condivisa e che coinvolga attivamente gli studenti, in un contesto di rispetto reciproco e di coerenza, è la chiave per costruire una scuola capace di formare individui non solo competenti, ma anche maturi, consapevoli e pronti ad affrontare le sfide della vita con serenità e responsabilità.

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