‘Come stai?’. Perché la scuola ha bisogno del dialogo emotivo

L’empatia si basa sull’autoconsapevolezza;
quanto più aperti siamo verso le nostre emozioni,
tanto più abili saremo nel leggere i sentimenti altrui.

Daniel  Goleman

“A New York, quel pomeriggio d’agosto, l’umidità era insopportabile; era la classica giornata in cui il disagio fisico rende la gente ostile. Tornando in albergo, salii su un autobus in Madison Avenue e fui colpito di sorpresa dall’autista, un uomo nero di mezza età con un sorriso entusiasta stampato sul volto, che mi diede immediatamente il suo benvenuto con un cordiale :”Ciao! Come va?”

Credo di aver già in passato citato questo magnifico passo tratto dal testo “Intelligenza Emotiva” di Daniel Goleman*.

Nel libro, che ha avuto un successo notevole, l’autore ha sostenuto che l’intelligenza è entità multiforme, che esiste una intelligenza emotiva e questa ha un peso non indifferente sulla personalità, sull’agire e sul fare individuale. Essa in sostanza rappresenta l’organizzazione e l’espressione esterna, sociale, delle emozioni e dei sentimenti, del mondo affettivo di ciascuno di noi. Quel mondo che si costruisce e consolida nel tempo, a partire da quanto geneticamente si riceve già al concepimento e dalla nascita in poi,  dai così detti rapporti emotivi primari e intimi con le figure genitoriali, madre per prima e dal complessivo contesto ambientale in cui si viene alla luce. Determinanti per la psicologia sono i primi tre anni di vita e in particolare il primo, quando non si è autonomi e ancor più delicati risultano i primi mesi in cui il tutto è guidato dalle basse vie del cervello depositarie dei primordiali impulsi. Di tale spazio di vita da grandi non c’è memoria, nel tornare indietro ognuno di noi riesce infatti  a rammentare, in modo molto frammentario, qualche lacerto significativo soltanto dei tre anni. Rimangono comunque da grandi ben percepibili i colori delle antiche disavventure, su cui si è organizzata la nostra struttura psichica.

Questo periodo dello sviluppo è fatto di carezze, baci, contatti fisici, odori, rumori, suoni e luci.

E’ tutto un sentire più che capire, la parte alta del cervello non è ancora connessa, si comincerà ad attivare, con gradualità crescente e straordinaria, successivamente, soltanto a partire dal quarto mese in poi.

Le emozioni la fanno da padrone, piaceri e paure si alternano, come si alternano sorrisi e disperati incontenibili pianti. In definitiva il patrimonio genetico che si eredita dai genitori, le esperienze non filtrate dalla ragione, unitamente a quanto già sofferto o goduto prima di venire alla luce, nel grembo materno, sono le fondamenta, l’essenza emotivo-affettiva di ciò che saremo da adulti. A tutto ciò si sommano i meccanismi  di difesa escogitati via, via  per fronteggiare situazioni frustranti, per attrarre su di sé le attenzioni genitoriali, della madre in particolare in presenza di concorrenti. Tali strumenti di difesa sperimentati nel tempo e ritenuti efficaci per proteggere le proprie vulnerabilità, per ottenere cure e considerazione nel vivere quotidiano con gli altri, diverranno, nel tempo anche loro, tratti distintivi, non sempre consapevoli, della nostra personalità.

Se l’accoglienza, è stata di qualità, se sorrisi, baci e carezze hanno accolto chi è arrivato, se lo sforzo, spesso intuitivo, di capirne i bisogni è stato costante e intenso, se l’interlocuzione emozionale è stata adeguata, i primi mattoni risulteranno ben messi e assicurati saranno, in genere, la corretta crescita,  l‘inclusione e il successo formativo.

E’ per questo che ciascuno di noi è un mondo a sé stante, siamo infatti unici e irripetibili, si potrebbe dire firmati, una originale combinazione tra geni ed esperienze ambientali.

E’ possibile che un robot possa essere tale, possa raggiungere una così straordinaria singolare individualità?

La vedo veramente molto dura !

EDUCARE ED ISTRUIRE

E’ facile comprendere come sia importante riconoscere e rispettare tali individuali diversità, come sia ben poco produttivo proporre un paio di scarpe uguali per tutti. Una medicina uguale per tutti, pur se affetti dallo stesso morbo.

Di certo è forte esigenza umana quella di incasellare, catalogare e mettere ordine, semplifica la complessità e dovrebbe difendere dalle sorprese, cosa mai potrebbe esserci in un recipiente privo di etichetta?

Caselle, cassetti, contenitori in genere, con tanto di cartellino, come in una spezieria, separano il buono dal cattivo, la camomilla dal veleno e  consentono di non fare grossolani errori, distinguono il malato dal sano.

Sei un cardiopatico, vai messo nel cassetto dei cardiopatici e lì troverai anche i rimedi per curare la tua patologia, sei una persona Down, fai parte di coloro che soffrono di gravi ritardi mentali.

Oggi siamo consapevoli che i cardiopatici non sono tutti uguali e neppure i Down.

In sostanza  l’ordine ci è utile per non trovare cravatte dove dovremmo trovare calzini, ma con gli esseri umani, al momento, non sempre è così.

Il principio organizzativo dell’ordine, Kosmos per i greci antichi, è la ragione, mentre il disordine è il Khaos, l’irrazionale, una realtà molto poco controllabile, che coincide in ultimo con il brutto, a fronte del “Bello ordinato”, l’armonia s’addice al primo, la disarmonia è distintiva del secondo. Avere una vita ordinata o disordinata è un dire comune, estensione dei due concetti, opposti e intimi tanto che l’uno esiste proprio in virtù dell’altro, sono in definitiva la raffigurazione eloquente dell’umana doppiezza.

Comunque sia, i sentimenti e le emozioni sono l’irrazionale per antonomasia, l’antico che ci portiamo dietro,  si estrinsecano e si dispiegano nel contesto sociale con tonalità molto personali, quel che emoziona me, l’altro non lo tange per nulla. Taluni vengono stravolti dall’ira, dalla vendetta e commettono persino nefandezze, molti altri sono affetti da : “ E dai! Che vuoi che sia!” Sono dimessi, calmi e non prendono mai alcuna posizione forte. L’Amore poi, quello con la A maiuscola, è considerato il sentimento meno controllabile ed è capace di farti fare cose del tutto irragionevoli, è da molti definito infatti una transitoria piccola dolce follia. Platone condannava le passioni e gli illuministi consideravano il mondo misterioso e magmatico delle emozioni da tenere bene alla larga, perché quel marasma, quel disordine, può far veramente perdere il lume della ragione.

Quale ordine e controllo puoi organizzare in tale imprevedibilità?

E’ rimasto saldo nel tempo l’ammonimento: “Pensa! Non farti trascinare dall’impulso, allacciati una scarpa prima di agire, rifletti!”, “ Soltanto i deboli si lasciano sconvolgere dal vortice delle emozioni.”

E’ pur vero, non va negato, che nell’agire senza troppo pensare c’è il fascino dell’imprevisto, dell’azzardo, dello sfidare la sorte; correre all’impazzata sulla moto, fare la traversata in solitaria con la barca, ecc., provocano in taluni emozioni intense. Questo “dissennato” vivere e sfidare, si contrappone e dà vivacità alla monotonia del tutto sotto controllo, perché essere sempre composti e non lasciarsi mai afferrare da qualche prepotente follia, non osare mai, è vita molto grigia, piatta, giustappunto priva di emozioni. E poi in definitiva, per dirla tutta, sono proprio coloro che osano e rischiano a fare straordinarie scoperte, a fare imprese memorabili.

Dice la follia, in Erasmo da Rotterdam: “E’ per merito mio che i giovani sono così privi di senno (…). Quanto più si allontanano da me, tanto meno vivono”**

E Pablo Neruda: “Lentamente muore… chi non rischia la certezza per l’incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati”***

Si è da sempre cercato di dare ai sentimenti e alle emozioni una sede stabile, un cassetto, nel cervello, nel cuore, ma proprio per l’intangibilità ed evanescenza che li connota, come anche per la loro spiccata differenza individuale, alla fine, ognuno ha detto la sua, ma studi approfonditi non ce ne sono mai stati per molto tempo. Chi si è avventurato in questo labirinto misterioso è stato indiscutibilmente Freud, nei primi del ‘900, è lui infatti che ha scoperto e per primo parlato di “inconscio”, uno spazio nascosto che ciascuno di noi ha dentro di sé, oggi definito con il termine più generico di mondo affettivo.

Al di là di quella porta socchiusa che si preferiva per timore non spalancare, c’è un universo affascinante e intricato che dopo S. Freud è stato oggetto di numerosissimi indagini, a partire da Melanie Klein e Anna Freud, solo per citarne alcuni, dalle quali è emerso che, detto universo individuale, non occupa un posto ben preciso, sembra disseminato ovunque, s’intreccia con quello della razionalità e l’uno interferisce sull’altro con alterne vicende.

La ragione controlla il mondo dei sentimenti e delle emozioni, ma questo, che sembra abbia nell’Amigdala la sua centralina, grilletto particolarmente sensibile, non di rado la spunta e fa talora a sorpresa “capovolgere il tavolo***.

La civiltà, la scelta feconda di vivere con gli altri, quella che oggi è per molti la democrazia, ha portato il progresso, imposto  il rispetto di regole da tutti gradualmente accettate per il bene comune. Nel tempo ci siamo educati a non rubare il cibo degli altri, a non mangiare con le mani, persino a condividerlo, a frenare gli eccessi emozionali, a controllare l’aggressività, potente strumento per sopravvivere e per competere, a moderare le azioni e il tono della voce. Progressivamente ci siamo, in buona parte, convinti che anche quelli che non appartengono al nostro stretto clan, alla nostra comunità, pur se tanto diversi da noi, anche per il colore della pelle, non sono poi così cattivi e minaccianti. Ci siamo educati gradualmente a tenere a bada le pulsioni più burrascose, le emozioni di ripulsa, di fastidio, i sentimenti di paura, di ostilità verso l’estraneo, abbiamo anche superato il vincolo stretto dello ius sanguinis. Lo stesso prudenziale detto popolare“Moglie e buoi dei paesi tuoi”, è stato infranto soventemente da incauti dalla vita “alquanto disordinata”.

E così, appena sessant’anni fa, era impensabile, nella scuola pubblica un’educazione e una istruzione che si potesse far carico delle diversità degli alunni. Oggi finita la stagione delle uniformità, dei grembiuli, degli alunni, si celebra l’individualità, la si apprezza come un valore, si cerca di rispettare i singoli, di non allontanare nessuno, di includere.

Ma se si vuole veramente una scuola di tutti e di ciascuno, che quindi ognuno abbia quanto è a sua misura, il suo paio di calzature, non c’è soltanto la necessità di creare un ambiente idoneo, accogliente e inclusivo, magari anche pulito, con piante, fiori e quadri. C’è certamente necessità di accoglienza, ma essenzialmente di ascolto, disponibile e fiducioso, mondo da preconcetti.

“ Questi marmocchi ne fanno di tutti i colori e ne sanno una più del diavolo!”.
“E poi ci sono qui due che non parlano neppure l’italiano, valli a capire!”

E’ opportuno allora fare un passo ulteriore, se si vuole essere coerenti, perché non sono i tanti piani educativi individuali che partono tutti dall’assunto: “Noi riteniamo che per te sia utile questo o quel percorso, questo o quel progetto”, a rendere concreta l’inclusione.

E’ spesso carente a casa, come a scuola, l’interlocuzione emozionale e l’indifferenza la fa da padrona. E’ indispensabile, almeno a scuola, la pratica dell’ascoltare per capire le esigenze, le aspettative dell’interessato e insieme, almeno quando l’età e le condizioni lo permettano, parlare del come e perché intraprendere quel percorso. Ecco allora che cimentarsi nell’empatia, lo sforzo di avvicinarsi con cautela, rispetto e fiducia, con il desiderio di comprendere, diventa una pratica affascinante, impegnativa, ma  valida per coinvolgere e aiutare tutti a raggiungere i più alti traguardi possibili.

E dunque, tanto per iniziare l’avvicinamento, per avviare un dialogo emotivo, come non chiedere, sorridendo:

Come Stai?”

E’ appena il caso di osservare che, nell’iniziale citazione tratta da Goleman, è un omone nero che chiede al passeggero bianco: “Come va?”

 * Daniel Goleman, Intelligenza Emotiva, BUR, 2005
** Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, Oscar  Mondadori ,1999
***Pablo Neruda, Chi muore ( Ode alla vita), poesia.

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