Chi non vuole i concorsi?

Tuttoscuola sostiene da tempo la necessità e l’urgenza (termini da decreto legge!) di bandire i concorsi a cattedre, partendo dalle province nelle quali le graduatorie sono esaurite o stanno per esaurirsi, ma l’attenzione dei sindacati e di buona parte dei politici resta concentrata sui precari e sulle graduatorie.

Sembra quasi che ci sia una gara a favorire questa o quella sottocategoria di precari ‘graduati’ (vedi polemiche sul ‘pettine’), o addirittura non ‘graduati’, con l’intenzione di favorirne la scalata al fortilizio delle graduatorie, magari sulla base del servizio prestato con il possesso del solo titolo di studio.

Categorie che vanno tutelate, ma nel rispetto dell’equilibrio generale. A pochi è venuto in mente di proporre la via maestra dei concorsi che pure potrebbero essere banditi, sulla base della normativa vigente, per il 50% dei posti disponibili. L’opposizione, con l’eccezione già ricordata la scorsa settimana di Giovanni Bachelet, presidente del Forum Istruzione del Pd, resta ferma sulla richiesta prioritaria di immettere in ruolo il maggior numero possibile di precari ‘graduati’, mentre la maggioranza deve fare i conti (anche su questo tema) con le tensioni interne tra leghisti ‘nordisti’ e pidiellini ‘sudisti’.

E il governo che cosa fa? Stando all’intervista rilasciata a ilsussidiario.net qualche giorno fa da Max Bruschi, consigliere del ministro Gelmini, sembra che l’idea di bandire i concorsi si stia facendo strada anche nell’entourage del titolare del ministero di viale Trastevere (“forse è meglio, anziché restare bloccati, compiere i passi possibili”). Per ora si tratta di opinioni: per diventare fatti occorrerebbe che il ministro assumesse in prima persona l’impegno a bandire i concorsi, a salvaguardia dei più giovani, laureati e abilitati – “soli e abbandonati” -, del principio meritocratico e delle chances professionali di chi è fuori del recinto delle graduatorie. Qualcuno protesterebbe, ma la scuola ne trarrebbe grande giovamento.