Con gli Orientamenti pastorali 2010-2020, pubblicati nei giorni scorsi in “Educare alla vita buona del Vangelo”, i vescovi italiani pongono l’emergenza educativa al centro della propria missione, per rispondere anche al “degrado” e alla “situazione disperata” (come l’ha chiamata Avvenire il quotidiano della Cei) delle istituzioni civili preposte all’istruzione.
I vescovi, per contrastare la perdita di valori della società secolarizzata, chiamano all’appello genitori e insegnanti, politici, imprenditori, sportivi, artisti, uomini dello spettacolo.
Tra gli obiettivi che i vescovi si sono posti vi è quello di lanciare “scuole di formazione” per nuovi politici cattolici e di ridare forza alla famiglia, oggi destabilizzata dal “quadro fiscale”, divorzi in aumento e “tentativi di equiparare alla famiglia” le unioni gay.
I vescovi non si nascondono le difficoltà che in questi tempi incontra l’azione educativa, gravata da uno scetticismo complessivo che determina soltanto “programmi educativi a breve termine”, una “corrente fredda” che scuote la famiglia e la scuola, la tendenza “a ridurre il bene all’utile”.
Secondo i vescovi italiani, “in una società caratterizzata dalla molteplicità di messaggi e dalla grande offerta di beni di consumo, il compito più urgente diventa quello di “educare a scelte responsabili”.
I giovani, secondo la Cei, si trovano spesso davanti a “figure adulte demotivate e poco autorevoli” con la conseguenza che “la famiglia, primo luogo dell’educazione, è lasciata sola a fronteggiare compiti enormi nella formazione della persona, senza il contesto favorevole e adeguati sostegni culturali, sociali ed economici”. La Cei cerca, dunque, il rilancio di una comunità educante in una sfida che sembra pressoché impossibile.
A indebolire la famiglia sono “pesanti condizionamenti esterni”, quali, ad esempio, la mancanza di sostegno “al desiderio di maternità e paternità”, le difficoltà imposte dai tempi di lavoro e “dalle condizioni abitative e urbanistiche sfavorevoli”, nonché “gli ostacoli di un quadro economico, fiscale e sociale che disincentiva la procreazione”.
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