Buona Scuola/3. Innovazione e riorganizzazione passano per la qualità delle risorse umane

Il passaggio in Senato della riforma della scuola non dovrebbe stravolgere – almeno nelle intenzioni della maggioranza – i contenuti del disegno di legge, che dovrebbe mantenere lo scenario d’innovazione iniziale, anche se le incognite sono dietro l’angolo. Quel che è certo è che si pone  il problema di valutare l’impatto prima che la legge parta e cominci a produrre effetti. Questo è il compito che deve assumersi l’amministrazione, definendo i numeri di partenza, partendo dagli obiettivi della riforma per poter tenere sotto controllo il processo di attuazione della legge. Per volare alto bisogna rafforzare e qualificare  il “piano terra” costituito dall’organico delle  risorse umane a disposizione. Per anni al Miur c’è stata la non voglia, forse l’incapacità, di fare scelte programmatiche, facendo vivere la scuola in una sorta di autonomia sfiduciata. Va, viceversa, alimentata la crescita del senso di responsabilità, la visione dei contesti degli uffici scolastici territoriali come una sfida, come un’opportunità per i nuovi progetti. La riforma della scuola offre l’opportunità di innovazione, creatività,  ed un’occasione al Miur per dotarsi di  una visione capace di produrre una pianificazione strategica decisiva. Un’occasione per far uscire nuovi contenuti, diverse visioni sulla scuola di domani, e anche figure dirigenziali in grado di concretizzare nei contesti scolastici e territoriali il potenziale della riforma.

I numeri sono il parametro per passare all’azione, e i numeri ci dicono che il Miur ha nell’ambito delle qualifiche dirigenziali e delle aree funzionali scoperture d’organico rispettivamente del 45,3% e del 30%. La cosa non è affatto banale perché innovazione, riorganizzazione, idee chiare, progetti precisi e coerenza nelle scelte e nella governance si concretizzano solo tramite qualificate risorse umane. Urge, perciò, la previsione nel disegno di legge di un piano di reclutamento anche per il Miur per liberarsi dalle zavorre burocratiche e dalle croste di un sistema in cui l’amministrazione è stato un anello debole, funzionale ai propri interessi e a quelli contingenti della politica: balletto sulle poltrone, favoritismi, inefficienze. Lasciare le cose come stanno significa, come sempre, un regalo a chi vuole, appunto, conservare tutto com’è.