
Buona Scuola/2. 5 maggio, sindacati in difesa del metodo
Se il governo Renzi riuscirà a far approvare l’intero Disegno di legge a giugno, senza ricorrere al decreto legge per le sole assunzioni (il che comporterebbe il rinvio degli elementi di riforma a chissà quando), quello del 5 maggio 2015 potrebbe essere l’ultimo sciopero di questo tipo proclamato unitariamente da tutti i sindacati ‘rappresentativi’.
Con l’approvazione definitiva del Ddl verrebbe meno infatti la ragione principale della protesta, quella che ne ha determinato l’unitarietà: la mancata apertura di un tavolo di trattativa, o almeno di confronto, tra il Governo e i sindacati. Un evento praticamente senza precedenti nella lunga storia dei rapporti tra i sindacati della scuola e gli esecutivi, di destra e di sinistra, succedutisi alla guida del governo. Un sonoro ceffone al potere di veto sulle riforme scolastiche che bene o male, in misura maggiore o minore, ad opera di una parte o di tutte le organizzazioni rappresentative (la “pentamurti”, nel linguaggio dei Cobas), i sindacati avevano di fatto esercitato per decenni nella scuola italiana.
L’inserimento nella legge di sia pure attenuati e mediati elementi di ridefinizione dello stato giuridico, e in generale delle condizioni di lavoro all’interno della scuola, non preventivamente contrattati – o almeno discussi – con i sindacati assume il significato di una riaffermazione del “primato della politica”, per usare una classica espressione gramsciana utilizzata in più di un’occasione anche da Matteo Renzi.
Una volta approvata la legge i sindacati agirebbero all’interno delle nuove regole. Può anche darsi che tornino a scioperare unitariamente, ma lo farebbero aprendo controversie sul merito di specifici problemi, in primis quelli di carattere economico, non più sul metodo, cioè sulla loro legittimazione di fatto ad operare come soggetti politici, (con)trattando i modelli di riforma. Quello del 5 maggio potrebbe essere l’ultimo sciopero in difesa di tale “metodo”. Sempre che il Ddl vada in porto.
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