Buona Scuola/1. Renzi vince la battaglia politica

Con l’approvazione da parte del Senato del Ddl ‘Buona Scuola’ (159 voti a favore, 112 contro) non c’è dubbio che Matteo Renzi, dal punto di vista strettamente politico, abbia vinto la sua battaglia, che era soprattutto una prova di forza interna al Pd, volta a riaffermare la sua leadership nel partito di cui è segretario.

Si è trattato di una sfida rischiosa, che ha visto convergere gli avversari interni ed esterni di Renzi e praticamente tutti i sindacati della scuola, coalizzati contro il disegno di legge governativo.

Ma Renzi l’ha vinta perché, al di là dei contenuti (sui quali sono comunque intervenute non poche mediazioni rispetto al progetto iniziale), il principale obiettivo dello schieramento antirenziano era quello di spezzare il nesso assunzioni-riforma, e questo obiettivo è stato completamente mancato.

La decisione di Renzi (prevista per tempo da Tuttoscuola) di porre la fiducia sul disegno di legge maxiemendato (articolo unico con 209 commi) ha infatti frantumato l’opposizione interna, che si è divisa in tre o quattro frazioni, da quella dialogante di Martina e Damiano a quella scontenta ma votante (a favore) dei bersaniani come Gotor a quella che ha deciso di non partecipare al voto (Mineo, Ruta, Tocci), per arrivare infine a chi, come Stefano Fassina, è addirittura uscito dal Pd, come aveva fatto in precedenza Pippo Civati.

I sindacati invece non si sono divisi, ma la riapertura del tavolo contrattuale, resa più vicina dalla recente sentenza della Corte costituzionale che ha sancito l’illegittimità (sia pure senza effetti retroattivi) del blocco dei contratti e degli stipendi dei pubblici dipendenti, riproporrà con ogni probabilità quella dialettica tra trattativisti e intransigenti (per ragioni ideologiche o per ipercorporativismo) che ha in più occasioni caratterizzato la storia dei rapporti interni tra i sindacati della scuola italiani.