Bruno Cerella: ‘Sogno una scuola in cui l’arte, lo sport, la tecnologia e le emozioni abbiano lo stesso valore delle discipline tradizionali’

Di Sara Morandi

Bruno Cerella è un ex cestista argentino con cittadinanza italiana, noto per la sua carriera di successo nel mondo della pallacanestro. Durante la sua carriera, Cerella si è distinto non solo per le sue capacità tecniche, ma anche per la sua determinazione e resilienza, qualità che ha riportato anche nel suo percorso imprenditoriale. Infatti, parallelamente alla sua attività sportiva, ha avviato il progetto Slums Dunk, volto a migliorare le condizioni di vita dei giovani nelle aree economicamente e socialmente svantaggiate dell’Africa, attraverso il basket. Questo progetto dimostra il suo impegno nel sociale e il desiderio di restituire qualcosa alla comunità.

Sognatore e visionario, Cerella immagina una scuola ideale per le nuove generazioni come un luogo dinamico dove l’arte, lo sport, la tecnologia e le emozioni si intrecciano con l’apprendimento tradizionale, promuovendo la creatività e la collaborazione. La sua visione è quella di formare cittadini curiosi e responsabili, pronti ad affrontare un mondo in continua evoluzione.

Quali sono stati i momenti più determinanti della sua carriera sportiva e come l’hanno influenzata nella sua attività imprenditoriale?

“Direi che i momenti più determinanti della mia carriera sono stati quelli di grande difficoltà, più che le vittorie. Le stagioni complicate, gli infortuni, le panchine… Lì impari davvero chi sei e come reagisci. Lo sport ti insegna disciplina, resilienza e lavoro di squadra: tutte qualità che oggi porto nel mio percorso imprenditoriale. Ho capito che, come nello sport, anche nel business non si vince da soli: servono visione, ma anche capacità di coinvolgere e valorizzare le persone intorno a te. Penso di essermi divertito tanto grazie alla capacità di riconoscere il mio ruolo all’interno di squadre con tanti talenti e, averlo interpretato, nel modo giusto.  Ho sempre creduto nel lavoro quotidiano, fatto di costanza e dedizione. Con la stessa mentalità, ho provato ad approcciare il mondo imprenditoriale, con una visione infinita e non finita agli utili”.

Cosa l’ha spinta ad entrare nel mondo dell’imprenditoria mentre era ancora un atleta professionista?

“Il fatto di essere straniero e di voler creare opportunità fuori dal campo, in un paese bellissimo come l’Italia, mi ha spinto a esplorare un percorso imprenditoriale che è iniziato quando avevo 25 anni. Volevo costruire un “piano B” che mi permettesse, a fine carriera, di scegliere dove vivere, quando smettere con lo sport e soprattutto di gestire liberamente il mio tempo, cosa che per vent’anni di carriera non era possibile a causa degli impegni. Ho sempre avuto la curiosità di imparare e di studiare ogni giorno: i progetti che ho intrapreso non sono nati da un bisogno economico, ma da una scelta consapevole, ed è questo un punto fondamentale della mia vita. Oggi ciò che faccio mi rende felice e mi fa crescere come persona”.

Può condividere un aneddoto o una lezione appresa dalle difficoltà incontrate nel proprio percorso professionale/sportivo?

“Ho affrontato tante difficoltà lungo il percorso: dagli infortuni alle stagioni in cui le cose non giravano per il verso giusto, dal non ricevere i pagamenti da parte di alcune squadre, fino ad avere intorno un gruppo di lavoro che non agiva in armonia per un obiettivo comune. In quei momenti ho cercato di esplorare me stesso, concentrandomi su ciò che potevo davvero controllare e lasciando andare ciò che non dipendeva da me, accettando il flusso naturale delle cose. Questo atteggiamento mi ha permesso di crescere, di migliorare e di correggere i miei errori passo dopo passo avendo un atteggiamento propositivo di fronte alla vita”. 

Come possono genitori, docenti ed educatori aiutare i giovani a tirare fuori il proprio talento?

“Credo che la chiave sia dare fiducia e libertà. Troppo spesso i ragazzi si sentono “ingabbiati” da aspettative esterne. Un genitore o un educatore deve saper ascoltare, incoraggiare e offrire strumenti, ma senza soffocare. Il talento emerge quando c’è spazio per sperimentare, sbagliare e riprovare. Bisogna insegnare ai ragazzi che non esistono solo percorsi lineari. La passione è un motore potentissimo e che il vero successo è trovare il proprio posto, non quello che gli altri hanno già scritto per te”.

Come immagina la scuola ideale per le generazioni del futuro?

“Immagino una scuola molto diversa da quella che conosciamo: più aperta, più dinamica, meno legata solo ai libri e ai voti. Una scuola dove si impara facendo, dove l’arte, lo sport, la tecnologia e le emozioni abbiano lo stesso valore delle discipline tradizionali. Un luogo in cui si coltiva la creatività e la capacità di collaborare; non solo la memoria. Una scuola che formi cittadini curiosi e responsabili, capaci di affrontare un mondo in continua trasformazione. In fondo, la scuola ideale, è quella che prepara i ragazzi non a “sapere tutto”, ma a voler continuare a imparare tutta la vita”.

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