Bersani&Renzi/1. Il confronto sulla scuola

Nel confronto televisivo ‘all’americana’ tra i due candidati di gran lunga più votati nel primo turno delle primarie promosse dal Pd – il segretario del partito Pierluigi Bersani e il sindaco di Firenze Matteo Renzi – uno dei temi affrontati è stato quello della scuola e degli insegnanti.

Per la verità lo scambio di battute sull’argomento ha occupato poco spazio – forse meno di quello che la rilevanza della questione avrebbe meritato – ma in compenso è apparso molto significativo, perché ha rivelato in modo esemplare la diversa ‘vision’ dei due contendenti: più orientata all’affermazione del principio di uguaglianza quella di Bersani, con riferimento soprattutto al lavoro, e quindi all’eliminazione del precariato, più orientata all’innovazione e alla meritocrazia quella di Renzi (“introdurre il merito nella scuola è di sinistra”).

Non che le due visioni siano inconciliabili: Bersani nel suo intervento ha accennato alla necessità di valorizzare i giovani meritevoli: “Se 16mila giovani non vanno all’università c’è un problema e se chi vuol studiare non può, questa è una ferita alla dignità umana”, ha detto, per poi subito aggiungere, con il realismo che ne è il tratto distintivo, “Miracoli non ne prometto ma mi impegno”, come per il riconoscimento dell’importante ruolo svolto dagli insegnanti.

Su questo Renzi ha controbattuto con una certa durezza: “Ha ragione Bersani a dire che bisogna dire ‘bravi’ agli insegnanti, ma noi li abbiamo presi a ‘ciaffate’” (schiaffoni in puro fiorentino, ndr). Il “noi” di Renzi era in realtà un “voi”, riferito ai governi del centro-sinistra dei quali Bersani aveva fatto parte come ministro. E infatti attacca una delle riforme scolastiche più importanti del centro-sinistra: “La riforma Berlinguer di sinistra aveva solo il nome…”. Solo proponendo riforme in discontinuità con quelle del passato, anche di quelle fatte dal centro-sinistra, il Pd, secondo Renzi, può diventare credibile agli occhi dell’elettorato.