Barbiana, luogo che rilancia l’eredità di una visione dell’educazione come azione di cura, impegno civico e alleanza
Di Maura Benedetti
Lo scorso ottobre l’equipe di Tuttoscuola ha organizzato un viaggio immersivo a Barbiana, piccola località nel Mugello che ha visto nascere una rivoluzione educativa, sociale e culturale. Barbiana è la testimonianza che le grandi rivoluzioni non possono che partire dal desiderio di prendersi cura del piccolo, e, nell’irriducibilità del piccolo, del tutto.
Barbiana e la figura di don Lorenzo Milani rappresentano uno snodo centrale della storia della scuola in Italia e della riflessione intorno al tema dell’educare. E tuttavia, tornare lì, ripercorrere quei sentieri, attraversare le stanze della canonica del Priore accompagnati da coloro che furono i suoi allievi di un tempo, ha trasmesso tutta l’intensità di qualcosa che è vivo e che si offre, ancora oggi, intatto alla nostra elaborazione. Come un’eredità che si passa di mano in mano senza perdere la sua energia.
Per il don Lorenzo che tanto aveva a cuore lo studio dell’etimologia delle parole, educare aveva certamente a che fare col trarre fuori il talento di ciascuno, la sua capacità, la sua possibilità di diventare se stesso con tutto se stesso. Possibile solo a condizione di sapere dare forma di parole al proprio mondo interiore. Fare questo voleva dire nello stesso istante operare per il ripristino di una certa uguaglianza sociale, resa possibile solo a condizione di una eguale capacità di conoscere l’uso del linguaggio, di poterlo decifrare. Decifrare quel codice che altrimenti finisce col dividere il mondo fra coloro che lo posseggono e coloro che ne restano esclusi e che dunque lo subiscono. Ecco perché Barbiana non è stata solo la scuola al servizio della realizzazione di tanti io-individuo, ma lo strumento necessario per la costruzione di un mondo giusto; o, almeno, più giusto.
Durante la nostra visita, abbiamo respirato tutto questo. Lo abbiamo ritrovato nei luoghi che hanno accolto quel modo nuovo vivere la scuola e la relazione educativa, che ancora risuona avvertito sulla pelle. Grazie anche – come dicevo – all’intensità con cui siamo stati accompagnati da coloro che oggi sono gli ultimi testimoni protagonisti di quella esperienza. Quegli allievi di don Milani che spesso e volentieri hanno poi tentato nei loro percorsi personali da adulti di mantenere vivo quel fuoco, trasformandolo in impegno civico, in progetti di ricerca su un nuovo modello di sviluppo umano integrale, in esperienze condivise. In qualche cosa che potesse continuare ad essere generativo per tutti, che potesse attraversare il tempo ed essere rilanciato anche in altri contesti sociali.
Perché, ci domandiamo, la scuola di don Milani non è diventata per i suoi studenti un fardello da lasciarsi rapidamente alle spalle, nonostante le fonti ritraggano il Priore come insegnante estremamente esigente? La risposta è forse racchiusa in quell’espressione inglese che don Lorenzo indicò come architrave del suo progetto educativo: I care, mi preoccupo, mi interesso.
Il suo significato immediato lo conosciamo tutti: la riuscita del percorso didattico si misura sulla capacità di trasmettere una certa passione per la vita, per gli altri, per il mondo, per l’umano. Educato è colui che sa prendersi a cuore, che non rimane indifferente. Scolarizzato (termine che evidentemente assume qui un significato molto più ampio rispetto al “solo” sapersi comportare civilmente) è colui che ha imparato a percepire il suo destino come collegato al fuori che lo circonda, alla propria comunità di appartenenza, a riconoscere il suo essere da sempre in relazione e dunque a prendersi cura della qualità delle relazioni che caratterizzano le comunità di appartenenza, a partire dalla dimensione familiare, scolastica, organizzativa, locale, per arrivare a quella ecosistemica. “Sentire che il problema degli altri è uguale al mio”.
Questa visione, ritrovata nel racconto appassionato e ancora vibrante dei testimoni, ha potuto mettere radici in quei ragazzi perché per primo Don Milani non rimase indifferente alla loro sorte, seppe preoccuparsi del loro destino, si prese cura di loro con tutta l’intelligenza e l’intensità di cui era capace. Mettendo al loro servizio il meglio delle proprie risorse intellettuali e sociali. Esiliato dalla città di Firenze in cui era nato per essere confinato in un contesto che allora assai più di oggi doveva apparire fuori dal mondo, seppe dedicarsi a ciascuno di quei ragazzi come se in ognuno di loro si concentrasse il mondo nella sua interezza. Come se l’interezza del mondo e il suo destino si giocassero in realtà nel destino di quegli allievi senza nome, senza fama. Forse anche in questo si nasconde una provocazione per chi oggi abita la scuola, studenti, insegnanti, genitori, dirigenti e personale scolastico e comunità tutta. Ci troviamo in un contesto totalmente trasformato rispetto a quegli anni che può essere portatore di una propria carica generativa e trasformativa se viene custodita l’alleanza nella cura della relazione educativa. L’educazione si realizza quando sappiamo trasmettere e far emergere nelle e negli studenti la passione per il mondo che portano in sé e che li circonda; tale passione può germogliare solo se in prima battuta ciascuno di loro è stato il mondo per noi. La giornata si è conclusa con un momento che ha compiuto e ben rappresentato il passaggio di testimone tra le generazioni attraverso la condivisione di un lavoro preparato da studenti dell’istituto Professionale Buontalenti di Firenze con le loro insegnanti in cui hanno letto tracce di testi di don Milani, evidenziandone ciò che ancora vibra di quel messaggio rendendolo ancora attuale per le giovani generazioni e stimolo per il loro futuro.
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