Bachelet (Pd) a Tuttoscuola: Gli estremismi padani condizionano il Pdl
Che il dialogo fra i Poli sia ancora molto difficile nonostante la fine della campagna elettorale lo dimostrano le parole di Giovanni Bachelet ai nostri taccuini. Deputato del Pd, componente della Commissione Cultura della Camera, laureato in fisica, professore ordinario, Bachelet spiega a Tuttoscuola – in parte correggendo il tiro rispetto alla dichiarazione riportata dalla stampa due giorni fa – la posizione dei Democratici sul cosiddetto ddl Aprea, cioè il provvedimento che revisiona lo stato giuridico dei docenti e che è fermo da 8 mesi in Commissione a Montecitorio.
Secondo le agenzie di stampa Lei si è dichiarato pronto a riprendere la discussione sul testo-Aprea che revisiona lo stato giuridico dei docenti: conferma?
“No, non confermo. Giovedì, al seminario di Treellle, ho detto che alla Camera il PD è pronto a riprendere la discussione sulla parte del ddl Aprea che riguarda la governance, non lo stato giuridico. Lo possono confermare il dottor Casalegno che ci intervistava, l’on. Aprea che con me rispondeva alle sue domande, e naturalmente tutti i partecipanti al seminario che ci ascoltavano nell’aula magna della LUISS. Può essere utile collocare questa mia affermazione sulla governance nel quadro dell’intervista a due voci che giovedì concludeva il seminario Treellle. Alla prima domanda di Casalegno – se sia possibile una riforma organica bipartisan della scuola – ho risposto negativamente, spiegando il motivo: se il Governo mantiene il taglio da 8 miliardi alla scuola e, contrariamente alle promesse, continua a non reinvestire nemmeno un euro di questi tagli nella scuola stessa, sarà impossibile fino a fine legislatura formare e reclutare nuove leve, formare e rimotivare i docenti già in ruolo, concedere il prepensionamento a tutti quelli che lo desiderano. Le nuove leve vanno naturalmente dai neolaureati degli ultimi tre anni, tagliati fuori da qualsiasi filiera a causa della chiusura della SSIS senza l’apertura di un canale alternativo, fino ai moltissimi oggi precari che pur essendo bravi non hanno mai avuto una chance di conquistarsi onestamente un posto a tempo indeterminato. Poiché ogni vera riforma passa per lo svecchiamento, la riqualificazione e il rilancio del corpo docente, in queste condizioni finanziarie nessuna vera riforma è possibile. Questa la mia risposta iniziale. Solo a fine intervista, quando l’Aprea ha accusato il PD di totale chiusura rispetto al suo disegno di legge, ho segnalato che invece, limitatamente alla governance, siamo disposti a riprendere la discussione al punto in cui si era interrotta negli ultimi giorni di luglio. A quell’epoca, dopo un anno di audizioni, l’on. Aprea aveva verificato che quota capitaria, trasformazione delle scuole in fondazioni e parecchi altri aspetti risultavano o politicamente inaccettabili per il PD e l’opposizione, o tecnicamente improponibili per gli esperti indipendenti convocati in Commissione per le audizioni, o tutte e due le cose insieme. Ci ha quindi proposto di lavorare ad un nuovo testo che del suo DDL riprendeva le poche parti su cui le obiezioni politiche e tecniche parevano forse superabili. Il PD si era detto disposto a riprendere la discussione per quel che riguardava la governance, con tempi adeguati, dopo la pausa estiva. Giovedí al seminario Treelle, sollecitato dall’on. Aprea, ho detto che il PD confermava la posizione espressa a fine luglio ed era pertanto, in qualsiasi momento, disposto a riprendere la discussione sulla governance della scuola nel punto dove si era interrotta, a fine luglio. Ho anche raccontato che in quel momento stampa e televisione, anziché la rinuncia a gran parte del DDL originario e l’importante apertura all’opposizione da parte dell’on. Aprea, avevano solo riportato il disappunto dell’on. Goisis (Lega) perché nella nuova bozza era assente la padronanza del dialetto (poi tramutato in cultura regionale) fra le condizioni per l’assunzione dei nuovi docenti”.
Parliamo proprio del progetto alternativo della Lega: un testo più marcatamente regionalista, dove la precedenza per i professori è la località. Cosa ne pensa?
“Le rimostranze dell’on. Goisis a fine luglio, ne ho parlato anche al seminario Treellle, erano legate a un particolare aspetto del disegno di legge della Lega – la padronanza del dialetto (poi tramutato in cultura regionale) come condizione per l’assunzione dei docenti in una certa regione – rimasto lettera morta. In realtà questo dei dialetti era solo uno dei mille aspetti, estranei alla governance, che non erano sopravvissuti nella bozza preliminare di un testo unificato (ufficioso e mai apparso sul sito della Camera, almeno che io sappia) sul quale il Comitato Ristretto aveva cominciato a ragionare a luglio. Torno allo specifico della sua domanda: dei dialetti a scuola e di altri aspetti della proposta della Lega non sono entusiasta. Del tutto negativa è la mia valutazione dell’ulteriore proposta dell’on. Goisis (depositata, non casualmente, subito dopo le ultime elezioni), che prevede la regionalizzazione di organico, reclutamento, organizzazione e inquadramento di tutto il personale scolastico. Il passaggio di quasi tutte le competenze scolastiche da Stato a Regioni era già previsto per il 2013 dal “federalismo fiscale”. Le poche competenze mantenute allo Stato centrale e le molte trasferite alle Regioni sono frutto di un equilibrio delicato, basato sul titolo V della Costituzione ed una lunga concertazione fra maggioranza e opposizioni, sfociata nell’approvazione della legge sul federalismo fiscale nel maggio 2009, con l’astensione di PD e IdV e voto contrario dell’UdC. E’ stata proprio la Lega a volere per il federalismo fiscale un iter parlamentare ordinario e i l massimo possibile coinvolgimento delle opposizioni, memore del referendum costituzionale che il 25 e 26 giugno del 2006 aveva affondato in 48 ore la devolution e il presidenzialismo con un oceanico margine di sei milioni di voti. Non sembra ragionevole che proprio la Lega tenti adesso, a federalismo approvato, di spostare l’asticella a proprio favore. La Costituzione, “ribattezzata” nel 2006, rappresenta anche oggi il principale ostacolo alla lettera e allo spirito delle proposte leghiste sulla scuola. Vigendo il suo articolo 3, la Pubblica Amministrazione può preferire di assumere un residente anziché un non residente a parità di merito, ma non può discriminare i cittadini in base alla residenza di origine. In altre parole, la Costituzione della Repubblica Italiana non consente che un somaro lombardo-veneto sia preferito ad un siciliano più bravo di lui. Di tanto in tanto qualche proposta di matrice leghista che va in questa direzione viene approvata (o autorevolmente fatta propria dal Ministro), poi affondata da un Tar, poi resuscitata dal Ministro, poi affondata dal Consiglio di Stato, eccetera: pensiamo ad esempio alla proposta di esclusione del voto di laurea dai criteri delle graduatorie di terza fascia, o l’inserimento in fondo anziché a pettine in caso di cambio di provincia. Alla fine, però, ci salva sempre la Costituzione”.
Resta il fatto che lo scenario dopo le elezioni vede la Lega che si candida a guidare le riforme istituzionali, e ora, a quanto sembra, anche quelle della scuola…
“Nel caso della scuola, l’impressione è che, oltre al PD e al resto dell’opposizione, la stessa presidente Aprea ed altri della maggioranza non si riconoscano in alcune esagerazioni ed estremismi padani; c’è anche chi sente in essi il rischio di un centralismo regionale nemico della sussidiarietà verticale: chi, a destra, sostiene in buona fede che ogni scuola debba reclutare per conto proprio i migliori docenti, non può certo vedere di buon occhio meccanismi legislativi che limitino la libertà e l’autonomia delle scuole e le costringano ad assumere solo insegnanti indigeni”.
In un’intervista pubblicata da Tuttoscuola, proprio il presidente della Commissione Cultura della Camera, Valentina Aprea, ha lanciato un’importante novità nella definizione delle nuove regole per la carriera dei docenti: “Occorre prevedere – spiega l’onorevole del Pdl – più modalità di riconoscimento professionale, non escludendo la possibilità che anche le scuole possano valutare miglioramenti retributivi. In sostanza, l’esperienza personale di dirigente scolastico e la conoscenza dei migliori sistemi educativi mi porta a dire che i dirigenti possono diventare un soggetto valutativo, ma non in via esclusiva”. “La premialità dei docenti potrebbe essere competenza anche di altri soggetti. Penso – continua l’esponente del Popolo della Libertà – agli ispettori, magari in collegamento con l’Invalsi, come avviene con l’Ofsted in Inghilterra, ma anche alle famiglie, agli studenti e agli organismi tecnici delle scuole, chiamati a valutare l’efficacia dell’azione educativa come nelle migliori tradizioni”. E’ d’accordo?
“Molti insegnanti sembrano ormai favorevoli alla valutazione ed alla possibilità che, ad esempio, una parte della retribuzione dipenda dalla quantità e qualità dell’impegno didattico profuso. Questa è una novità importante. Non è infatti possibile, lo dicevo all’inizio, riformare e rinnovare la scuola italiana (introducendo, temi del seminario di Treellle, le competenze a fianco delle conoscenze, oppure i progetti a fianco della didattica tradizionale) senza, o peggio contro gli insegnanti. Il fatto che gli insegnanti siano sempre più favorevoli ad una valutazione con conseguenze su stipendi e carriere rappresenta quindi una base di partenza promettente. Le idee su chi debba valutare chi, e in che modo debba farlo, sono però ancora molto varie. Manca un’ampia discussione pubblica che definisca un metodo di valutazione robusto, sia sotto il profilo socio-sindacale (ampiamente condiviso fra insegnanti, studenti, famiglie, sindacati, imprenditori), sia sotto il profilo dell’efficacia (un metodo in grado di identificare sul campo i docenti preparati capaci e motivati, cioè quelli che caratterizzano le sezioni dove tutte le famiglie cercano di iscrivere i propri figli; un metodo che non privilegi chi ha al proprio attivo aggiornamenti di dubbia qualità, frequentati magari a scapito del lavoro didattico, alle spalle dei colleghi; né privilegi chi è servile verso il dirigente e mediocre in classe). Nel definire la valutazione di domani è fondamentale, in particolare, il coinvolgimento degli insegnanti. Il progetto di rinnovamento didattico negli USA, illustrato da Charles Fadel a Treellle, annoverava fra i propri partner la NEA (National Education Association), il più grande sindacato di insegnanti degli Stati Uniti (3.3 milioni di iscritti, 555 funzionari, 300 milioni di dollari di bilancio). Sempre al seminario Treelle Sue Horner, direttrice del “Qualifications and Curriculum Development Agency”, diceva, alla fine della presentazione sul rinnovamento didattico delle scuole della Gran Bretagna, che l’entusiasmo col quale gli insegnanti britannici hanno accolto il programma di riforma è stato un ingrediente chiave del successo. Detto ciò, alcune idee dell’on. Aprea a me appaiono plausibili (ad esempio il coinvolgimento delle agenzie attualmente dedite a finalità correlate con la valutazione dei docenti, INVALSI e ANSAS, con possibile ridefinizione dei loro scopi e dei loro assetti attuali, visto che sono comunque in fase commissariale di riordino); altre idee dell’on. Aprea mi convincono meno (alla valutazione di un impiegato da parte del proprio diretto superiore, nel nostro caso il dirigente scolastico, molte aziende preferiscono oggi soggetti monocratici o collegiali terzi rispetto alla coppia dirigente-impiegato, sulla base della diffusa esperienza che il lavoro quotidiano fianco a fianco può introdurre rilevanti distorsioni emotive o, in altri casi, conflitti d’interesse forieri di valutazioni professionalmente non attendibili). La mia esperienza in campi non troppo lontani dalla scuola, come la didattica universitaria e la ricerca, mi suggerisce inoltre che la disponibilità di più indicatori e più soggetti valutatori (per esempio i colleghi, gli studenti, le famiglie) fornisce valutazioni più accurate rispetto ad un unico indicatore e un unico soggetto valutatore. E che anche la valutazione anonima fra pari (peer review) è uno strumento che, in ben precise condizioni, può funzionare. Ripeto, però: per pregevoli che siano le opinioni e le esperienze mie o dell’on. Aprea, un metodo di valutazione efficace e ampiamente condiviso richiede un dibattito pubblico molto ampio su scala nazionale: senza un simile dibattito si costruisce sulla sabbia, rischiando ingiustizie gravi e contraccolpi imprevedibili. Per parte sua il neonato Forum Nazionale Politiche dell’Istruzione del Partito Democratico, che presiedo, intende contribuire al lancio e allo svolgimento di questo ampio dibattito sulla valutazione in tutto il Paese attraverso la definizione di una propria proposta in questo ambito”.
Un altro argomento strategico sul quale si è soffermata con noi la Aprea è stato quello dei tempi per l’introduzione delle sue novità, che includeranno nelle sue intenzione anche i Consigli di amministrazione e gli albi professionali dei docenti: l’esponente della maggioranza prospetta l’anno scolastico 2010-11: “A breve – afferma Aprea, che dice di muoversi in sintonia con il ministro Gelmini – giungerà in commissione il regolamento sulla formazione iniziale dei docenti, e si porrà contestualmente il tema del reclutamento attraverso albi professionali regionali e concorsi regionali banditi dalle reti di scuole, come da raccomandazione OCSE. Per questo, e anche per offrire con l’inizio del prossimo anno scolastico alle scuole strumenti organizzativi più flessibili di accompagnamento e sostegno alla riforma delle superiori, credo che già dalla prossima primavera si possa riprendere il dibattito politico e istituzionale su questi aspetti”. Il suo giudizio e la sua replica…
“La sintonia fra la Presidente della nostra Commissione e il Ministro Gelmini non è parsa, finora, straordinaria; ne è testimonianza anche il destino, almeno fino ad oggi, del DDL Aprea, depositato a inizio legislatura nel maggio 2008. Da allora e per circa due anni nessuno dei numerosi e pesanti interventi legislativi del Governo sulla scuola, tutti esplicitamente finalizzati a realizzare i mostruosi tagli finanziari della legge 133/2008, ma tutti sempre presentati come riforme della scuola, ha mai richiamato l’ambizioso DDL Aprea di riforma della scuola. Non giurerei, quindi, che la concatenazione di eventi e tempi previsti dall’on. Aprea corrisponda esattamente a quel che succederà davvero: basti pensare al pauroso ritardo col quale sono entrati in vigore i nuovi regolamenti delle superiori. Dopo ben due anni, la chiusura della SSIS senza che la formazione iniziale dei docenti sia mai partita appare non un breve ritardo dovuto a un errorino di calcolo dei tempi, ma un trucco deciso a tavolino per spostare piú avanti nel tempo le assunzioni di nuovi giovani nella scuola; come risultato neanche Pico della Mirandola, se si fosse laureato in Italia nel 2007, 2008 e 2009, potrebbe oggi entrare nella filiera dell’insegnamento. Spero bene, comunque, che su una materia importante per il futuro della scuola e quindi del Paese come il reclutamento dei nuovi docenti non si immagini, da parte del Governo, di dare qualche altra picconata alla scuola pubblica cavandosela con qualche chiacchiera sulle raccomandazioni OCSE e la flessibilità”.
Infine, la questione-sindacale: il centrodestra spesso dà i voti ai sindacati e promuove solo alcune sigle. Per la Aprea “Anp, Snals, Cisl e Uil, tanto per richiamare le sigle di alcuni grandi sindacati di categoria, sembra che abbiano scelto la strada del confronto e non quella dell’opposizione ideologica preventiva contro le scelte del governo in carica. Le migliori conquiste sindacali si realizzano non sulla spinta dell’ideologia, ma sul terreno della condivisione degli obiettivi e del buon senso”. Qual è la sua opinione?
“E’ difficile non buttarla in ideologia con un presidente del Consiglio che parla sempre di lotta fra il bene e il male e di pericolo comunista, e con alcuni deputati della Lega e del PDL che ci deliziano periodicamente in commissione con risoluzioni su presepi crocifissi ed altre cose serie ed importanti, che però con la politica non dovrebbero entrarci. Capisco che in queste condizioni anche all’on. Aprea venga la tentazione di imitare il suo líder máximo e cominciare a scrivere sulla lavagna l’elenco dei sindacati buoni e cattivi (qualche volta in commissione cerca anche di spiegarci che cosa dovrebbe fare un’opposizione responsabile). Per sfuggire alla tentazione di scivolare tutti in diatribe inutili, ideologiche nel senso deteriore, cercherei di attenermi a un dato importante e misurabile che riguarda i sindacati: la loro rappresentatività; e al fatto che l’unità e la compattezza del fronte sindacale, nei paesi anglosassoni e post-ideologici, è normalmente considerato un vantaggio per tutti: per il governo, per gli imprenditori, per l’opposizione, oltre che, ovviamente, per i lavoratori. Ho invece l’impressione che l’on. Aprea goda nel registrare questa divisione sindacale con il suo esercizio alla lavagna. Tuttavia mi permetto un pronostico: se la Gelmini continua a tagliare posti e a non dare quattrini alle scuole nemmeno per la carta igienica, la colonna dei cattivi sulla lavagna dell’on. Aprea si allungherà. Ad esempio, pensando all’elenco appena ascoltato nella domanda alla quale sto rispondendo, a me sembra già inevitabile la retrocessione fra i “cattivi” anche dell’Anp, visto che il 25 marzo il suo presidente, Giorgio Rembado, ha commentato l’inqualificabile intervista del Ministro sulle sofferenze finanziarie delle scuole con queste dure parole: “Dal Ministro ci aspettiamo non una bacchettata, ma che faccia mettere a bilancio le risorse.” A mio avviso, se il governo continua così, l’unità sindacale si ricomporrà: ben presto tutti i sindacati si ritroveranno nella colonna dei cattivi”.
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