Audizione/2. Il contributo dei privati al funzionamento delle scuole

Dopo il ‘Commento generale’ pubblichiamo oggi in successione le altre parti della relazione presentata da Tuttoscuola ai parlamentari delle Commissioni Cultura e Istruzione di Camera e Senato in occasione dell’audizione sul Disegno di legge attuativo del piano ‘La Buona Scuola’.

Il sistema formativo italiano soffre da sempre di una carenza di risorse. La spesa per l’istruzione, con il bilancio dello Stato oppresso da un debito monstre, non riesce a raggiungere il 4,5% del PIL, mentre la media dei paesi dell’Unione europea è del 5,3% e ben 9 tra questi (tra cui Francia, Regno Unito e Belgio) investono più del 6% del PIL. Avvicinarsi alla media europea vorrebbe dire destinare oltre 15 miliardi di euro all’anno in più per l’istruzione, un incremento oggi impensabile.

Qual è la situazione finanziaria delle scuole italiane? I fondi per il funzionamento sono del tutto insufficienti. Le risorse per gli investimenti anche. Altrimenti non si ricorrerebbe ai contributi dei genitori anche per la carta igienica e per le fotocopie. Con queste condizioni si può al massimo faticosamente mantenere il servizio, ma non fare il salto di qualità necessario per il sistema di istruzione affinché possa rendere competitivo il Paese.

In effetti le alternative sono solo due: maggiori investimenti pubblici, attrazione di capitali privati.

Il Ddl punta in parte sui primi (mettendo in campo un investimento complessivo di 3 miliardi di euro nel 2018) e in parte (ma in una misura in prospettiva crescente) sui secondi.

La novità è costituita dall’ingresso di capitali privati nel finanziamento della scuola sotto forma di sponsorizzazioni (Art. 3, c. 2 ), cinque per mille (Art. 15), school bonus (Art 16).

D’altra parte non si può non considerare che l’istruzione rappresenta un interesse nazionale strategico, che deve essere garantito dallo Stato e dagli organi territoriali, ma al quale può e deve poter contribuire la società tutta: singoli cittadini, soggetti economici e sociali, corpi intermedi.

Tutte le risorse e le energie che la società può indirizzare all’educazione dei giovani rappresentano un investimento in grado di produrre un “effetto leva” vincente sulla competitività del sistema Paese. Non attivarle, non incentivarle e non beneficiarne – ovviamente nella salvaguardia del corretto funzionamento del sistema – sarebbe (ed è stato, bisogna dirlo), miope.

La presenza di finanziamenti privati non implica di per sé che si determinerà una subordinazione dell’operato della scuola agli interessi dei privati (anche se è un rischio da aver sempre presente e da prevenire). Al contrario dovrebbe essere la scuola che utilizza risorse di privati per realizzare i propri obiettivi di potenziamento dell’offerta formativa, che sono nell’interesse della collettività.

Un rischio da monitorare attentamente è in particolare quello dell’introduzione surrettizia di attività e interessi di natura commerciale nell’ambito dell’universo scolastico.

Bisogna aprire le porte delle scuole alla contaminazione con nuove mentalità e prospettive, ad energie fresche, a nuove risorse anche economiche. L’aspetto cruciale è regolamentare, controllare e gestire questi apporti, non chiudere le porte delle scuole.

I capitali privati d’altra parte non vanno intesi solo nell’accezione di finanziamenti da parte delle imprese finalizzati a perseguire i loro obiettivi (di business, di immagine o anche di responsabilità sociale), ma comprendono anche quelli dei cittadini contribuenti che avranno la possibilità di destinare il 5 per mille delle imposte versate a favore dell’istituto scolastico da loro prescelto, e quelli delle persone fisiche o giuridiche che vorranno effettuare donazioni – anche qui a favore delle scuole da loro identificate – ottenendo un beneficio fiscale.

Può essere interessante, per apprezzare la dimensione e la profondità del possibile impatto  introdotto dalle norme proposte, stimare quanto potrebbe valere per un’istituzione scolastica il provento derivante dal Cinque per mille.

Abbiamo fatto un calcolo. Attualmente sottoscrivono il 5xmille circa 16 milioni di contribuenti per un ammontare complessivo di 400 milioni, che la legge ha definito come tetto invalicabile.

In media, quindi, il contributo del 5xmille è di circa 26 euro pro capite.

Abbiamo ipotizzato che una istituzione scolastica particolarmente attiva possa ottenere che, in sede di dichiarazione dei redditi, sottoscrivano il 5xmille a suo favore – tra genitori e parenti degli alunni, dipendenti della propria scuola, ex-alunni oltre a privati amici – fino a duemila contribuenti. L’incasso lordo potrebbe, quindi, arrivare in media a circa 50 mila euro. E in aree ad alto reddito potrebbe lievitare di molto.

Un importo considerevole, se lo si compara ai fondi (ai quali si aggiungerebbe) di funzionamento attualmente ricevuti dall’amministrazione scolastica: il contributo finanziario erogato dal Miur per l’anno scolastico 2014-15 (incrementatosi rispetto agli anni precedenti) è in media di 18.775 euro per istituto, ricavati dalla ripartizione di 161 milioni di euro del fondo per il funzionamento delle 8.575 istituzioni scolastiche statali. Grazie all’incremento previsto dall’art. 2 comma 16 del ddl il fondo per il funzionamento dovrebbe arrivare a circa 28 mila euro: insomma il provento derivante dal 5xmille sarebbe il doppio dei fondi che erogherà il Miur, e circa il quadruplo di quanto erogato negli ultimi anni.

A tutto questo potranno aggiungersi le erogazioni liberali di cui allo school bonus dell’art. 16, nonché le eventuali sponsorizzazioni (art. 3, c.2).

Tutto ciò potrebbe portare il bilancio di alcune scuole a centinaia di migliaia di euro.

Le modalità di fundraising definite nel Ddl implicano la capacità delle singole scuole di attrarre queste risorse. Questo significa che ci saranno istituti che attrarranno molte risorse e altri che non saranno in grado di farlo. Ciò dipenderà non tanto dalla collocazione geografica e sociale (anche se le aree dove c’è un reddito medio più elevato, dove operano aziende interessate a fare sponsorizzazioni e soggetti disponibili a donazioni avranno condizioni più favorevoli), ma dalla predisposizione dei dirigenti scolastici e degli organi di istituto a fare in modo da essere ‘scelti’: visione, dinamicità, capacità di persuasione, ma anche necessità di farsi conoscere, di coinvolgere gli stakeholders.

Questo processo potrebbe condurre a un grande cambiamento nelle condizioni di funzionamento della scuola statale: fino ad oggi tutti gli istituti potevano contare grosso modo sulle stesse risorse: poche, ma per tutti nella stessa misura. Domani il budget degli istituti potrebbe variare sensibilmente in funzione della capacità di fundraising.

Perciò:

  1. Appare indispensabile prevedere appositi fondi di compensazione gestiti centralmente, e alimentati anche da una quota parte dei finanziamenti privati alle scuole, per intervenire sulle realtà che ne avranno bisogno. Questo è in parte già previsto al comma 1, lettera c) dell’art. 15 sul Cinque per mille, laddove si destina un 10 per cento di risorse attribuite alle istituzioni scolastiche a quelle poste in zone a basso reddito. Riteniamo che un meccanismo simile debba essere previsto per tutti i capitali privati attratti dalle scuole, e che debba essere gestito dal Miur per intervenire a supporto dove riterrà più opportuno.
    E’ così tra l’altro che si esplicherà il nuovo ruolo del Ministero dell’istruzione (attraverso gli uffici centrali e periferici) nel nuovo contesto di rafforzamento dell’autonomia di gestione delle istituzioni scolastiche. Poteri di indirizzo, definizione degli obiettivi, controllo, valutazione esterna (attraverso l’Invalsi e gli ispettori), e anche poteri di intervento laddove è necessario: azioni di ‘soccorso’ (finanziamenti compensativi, invio di task force di docenti, consulenza e supporto, etc), o anche di sostituzione del dirigente scolastico, fino alla chiusura della scuola che fallisce, ad esempio per due trienni consecutivi, il conseguimento degli obiettivi.
  2. Accanto ad una totale trasparenza e pubblicità nella gestione dei fondi, va rafforzato il modello di controllo all’interno dell’istituzione scolastica, che si dovrà dotare di modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire reati o comunque comportamenti non adeguati, e di modalità di vigilanza sul funzionamento e l’osservanza dei modelli, anche eventualmente attraverso appositi organismi dotati di autonomi poteri di iniziativa e controllo. Il riferimento e i principi ispiratori per tale modello possono essere a nostro avviso in parte trovati in quanto definito dal Decreto Legislativo 231/2001 per gli enti e le società privati, che stabilisce una responsabilità amministrativa a carico dell’ente per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da persone fisiche in posizione apicale o da loro dipendenti che agiscono in nome e per conto dell’Ente che rappresentano. Come noto tale norma non si applica allo Stato e agli enti pubblici, ma in considerazione della novità rappresentata dall’ingresso di fondi privati nella scuola potrebbero – e dovrebbero – esserne adottati ed estesi alle scuole alcuni principi a garanzia dell’integrità del sistema.
  3. Meccanismi compensativi dei poteri del dirigente scolastico in capo a organi collegiali. Si è molto discusso e polemizzato sulla figura del dirigente scolastico, disegnata secondo alcuni nel Ddl come quella di un ‘uomo solo al comando’.  Tali osservazioni critiche vanno respinte se nascondono una richiesta di deresponsabilizzazione del dirigente (magari a favore del Collegio docenti o delle RSU), vanno invece accolte se sono finalizzate al rafforzamento e alla più ampia condivisione delle scelte di carattere strategico che competono alla scuola autonoma, soprattutto in presenza di risorse finanziarie aggiuntive come quelle provenienti da privati. Scuola autonoma non vuol dire autocratica. Uno strumento idoneo a sostenere il dirigente in tali scelte e a condividerne le responsabilità di management strategico, per esempio nella definizione e valutazione in itinere dei Piani triennali, potrebbe esse costituito da un Consiglio di amministrazione (o dell’Autonomia, come proposto nella scorsa legislatura dall’allora presidente della Commissione Cultura della Camera Valentina Aprea), del quale facciano parte stakeholders non solo interni, in rappresentanza di genitori e docenti (e studenti nelle superiori), ma anche esterni, nominati per esempio dai Comuni e, nelle superiori, dalle Camere di Commercio.