Antonio Gramsci e la sua eredità

L’anniversario della morte di Antonio Gramsci, avvenuta ottanta anni fa, è stato scelto dal Ministero dell’Istruzione – Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione – come una eccellente occasione per invitare le scuole a “ricordare la vita e l’opera di significative personalità, che hanno contribuito da diverse culture e sensibilità, in differenti contesti e realtà, con vari approcci e orientamenti, a prospettare e realizzare i valori di una concezione democratica dell’educazione”.

Ci sembra una iniziativa significativa, e anche un po’ controcorrente, considerata la severa concezione gramsciana dell’impegno scolastico, sottolineata in un passaggio dei ‘Quaderni del carcere’, citato nella nota ministeriale, in cui si sottolinea che “occorrerà resistere alla tendenza di render facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato” e che “occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza”.

Un vero ammonimento contro il disimpegno e il facilismo negli studi indirizzato a tutto il mondo della scuola, compresi gli insegnanti, ma rivolto in particolare agli studenti. La struttura della nota, che comprende, oltre ad altre citazioni dalle Lettere a dai Quaderni, anche il testo di un tema svolto dal dodicenne Gramsci in forma di lettera a un compagno di scuola ricco, ma demotivato verso gli studi (“io, caro amico, non potrò mai abbandonare gli studi che sono la mia unica speranza di vivere onoratamente quando sarò adulto, perché come sai, la mia famiglia non è ricca di beni di fortuna”), lascerebbe quasi pensare alla ‘traccia’ di una prova di maturità.

L’impressione è confermata dalla parte finale della nota, intitolata “Cultura, scuola e linguaggio”, nella quale – come in una traccia centrata sul concetto di “scuola democratica” – si sostiene che “a Gramsci era chiara la centralità del linguaggio, della lingua e dei dialetti, nello sviluppo di ogni essere umano sia come singola persona sia come parte della collettività” e che anche per questo  “la rilevanza intellettuale e morale di Antonio Gramsci nel panorama culturale del Novecento costituisce un significativo riferimento di studio e approfondimento per le studentesse e gli studenti del nostro Paese”.

Forse a questo punto tra le tracce ministeriali per la prossima maturità non ce ne sarà una dedicata a Gramsci, anche per evitare polemiche strumentali sul retroterra politico-ideologico di Valeria Fedeli, ma l’attuale titolare del Miur non ha rinunciato, come ha fatto anche ricordando Tullio De Mauro e don Lorenzo Milani, a far ben capire chi sono i suoi Lari e Penati.