Analfabetismo

Come un evento ciclico, ad anni alterni, torna il tormentone “di italiani, popolo di eroi, di poeti, e, soprattutto, di… analfabeti”. Due anni fa, nell’autunno del 2003, una indagine condotta dall’Istituto nazionale per la valutazione dell’istruzione (Cede), affermava che in Italia gli analfabeti erano oltre due milioni, i semi-analfabeti quasi 15 milioni mentre altri 15 milioni rischiavano di non riuscire ad avere le capacità di comprensione e di calcolo richieste da una società complessa come quella attuale. Insomma una situazione catastrofica, desunta da una ricerca su un campione di italiani, sottoposto ad una serie di questionari a cui, a quanto veniva riferito, molti avevano risposto male o per niente.

Il prof. Tullio De Mauro aveva valutato negativamente e pesantemente quella situazione, rilevando come “Preoccuparsi della fuga dei cervelli è giusto – diceva De Mauro – ma bisogna anche preoccuparsi dei cervelli che non possono fuggire. Almeno due terzi dei nostri connazionali non possono infatti elaborare progetti di fuga e consumano il meglio del loro potenziale nell’escogitare le astuzie utili a nascondere le loro totali incapacità o drammatiche difficoltà di lettura, di comprensione, di calcolo”. La sfida, per De Mauro, era “riuscire ad aggredire la massa enorme di analfabetismo e bassa scolarità. Occorre quindi – aveva aggiunto – una rete nazionale di centri per l’educazione degli adulti, come si era cominciato a fare nel 1999. Ma oggi questi centri sono stati “ridotti all’asfissia appena nati” dalle scelte di politica scolastica dell’attuale governo, che in questo settore riporta l’Italia, secondo De Mauro, ad una situazione di fine ‘800, “quando la necessità del riscatto dall’analfabetismo era avvertita da pochi e a pochi volontari era lasciato il compito di provvedervi”.

A dir la verità non è che l’insigne linguista avesse fatto molto a favore degli adulti, quando era stato ministro dell’istruzione tre anni prima, ma, soprattutto, se davvero quel “buco nero” di milioni e milioni di analfabeti e semianalfabeti fosse stato vero, sembrava quanto meno un po’ strano e poco plausibile addossare la colpa di questa calamità (presunta) al Governo e al ministro in carica (caricati già allora di critiche per le scelte di riforma) piuttosto che ricercare responsabilità nella politica dei Governi e dei ministri dell’istruzione passati. Ma quei dati, frutto di un’indagine su un campione predefinito, corrispondevano davvero alla situazione reale dell’intera popolazione nazionale di 57 e più milioni di italiani? Quei milioni e milioni di connazionali in drammatica condizione culturale erano frutto di una stima o corrispondevano ad una realtà?

In quel momento una risposta sicura e incontrovertibile non c’era, perché i dati del Censimento 2001, gli unici probanti in materia, erano top secret, in quanto ancora soggetti alla elaborazione e alla valutazione da parte dell’Istat, al punto da non poter confermare o confutare i dati dell’indagine del Cede e i giudizi di De Mauro.


I sei milioni di falsi analfabeti

Autunno 2005. I dati del censimento 2001 sono già stati pubblicati da vari mesi dall’Istat e compaiono sinteticamente anche nell’annuario dell’Istituto. Tra l’altro si parla di livelli di istruzione della popolazione italiana, cioè proprio di quella popolazione “misurata” dall’indagine del Cede di cui abbiamo detto.

I dati ufficiali sugli analfabeti e sui seminalfabeti che emergono dalle pubblicazioni dell’Istat sono ben diversi da quelli usciti dell’indagine del 2003 e ridimensionano drasticamente quel catastrofismo, anche se, indubbiamente altri problemi, non da fine ‘800, urgono nella società della conoscenza nei confronti dei giovani a rischio di nuovi analfabetismi. Ma, nonostante ciò, ancora una volta, scoppia la notizia clamorosa degli analfabeti, nonostante, pur essendovi, questa volta, la incontrovertibilità delle cifre che dovrebbero dimostrare il contrario.

Questa volta l’occasione della denuncia viene dalla Università popolare di Castelsantangelo di Roma, che si occupa di educazione permanente e che fa capo all’Unla, una benemerita (negli anni ’50 e ’60) associazione contro l’analfabetismo. Sono sei milioni gli italiani che non sanno né leggere né scrivere, denuncia l’Unla, nel corso di un incontro a cui vengono invitati giornalisti ed esponenti del mondo della cultura. I dati, questa volta, non sono frutto di una indagine campione, ma sono presi, esatti fino all’unità, dall’annuario 2005 dell’Istat che riporta sinteticamente gli esiti del censimento 2001: 782.342 analfabeti totali e 5.199.237 persone prive di qualsiasi titolo di studio. Ammesso e non concesso che chi è privo di titolo di studio sia anche incapace di leggere e di scrivere, il totale di quel popolo di analfabeti-semianalfabeti sfiora proprio i sei milioni.

A caratteri cubitali tutta (o quasi) la stampa nazionale riporta la notizia di questa Italia da terzo mondo, fanalino di coda dei Paesi dell’Ocse, collocata agli ultimo posti delle graduatorie internazionali alla Celentano. “In Italia sei milioni di analfabeti – rischio ignoranza per il 66%” (La Repubblica); “Italia maglia nera, sei milioni non sanno né leggere né scrivere” (Il Giornale); “Boom di analfabeti battono i laureati” (La Stampa); “Quasi sei milioni di italiani (il 12%) sono analfabeti” (Il Sole 24 ore); “Studenti medi, uno su 4 non sa leggere né scrivere” (La Repubblica); “Italia a rischio analfabetismo” (Avvenire), e via di questo passo. Vengono intervistati anche gli esperti, De Mauro in testa, che riconfermano i giudizi di due anni prima, aggiungendo in proprio altri dati (stimati) su milioni di analfabeti di ritorno presenti e futuri.

Ma è possibile che a nessuno, giornalista o sedicente esperto, sia venuto in mente che quei sei milioni in rapporto agli adulti del nostro Paese (una cinquantina o poco più) vorrebbero dire che un italiano su nove (o forse meno) non sa leggere né scrivere? Uno su nove? Possibile? Potenza della suggestione dei numeri! E la suggestione diventa ancora più potente se quella cifra, tonda tonda per comodità di lettura, nei comunicati dell’Unla viene riportata fino all’ultima unità (5.981.579)!

Se si fosse potuto aggiungere addirittura qualche cifra decimale (ma le persone non si calcolano per frazioni) del tipo “virgola 37” oppure “virgola 09”, sarebbe stata il top, la ciliegina sulla torta, il capolavoro della comunicazione mediatica. Peccato però che a quei comunicatori enfatici sia mancata la pazienza, l’umiltà e la serietà della lettura e del controllo di quanto andavano annunciando.

Se avessero dedicato un solo minuto in più del loro tempo, avrebbero potuto facilmente rilevare, tanto per cominciare, che più di due milioni e mezzo di quegli italiani, che all’ottobre del 2001 (data del censimento nazionale) risultavano privi della licenza elementare, erano bambini in età scolare tra i sei e i dieci anni di età, ovviamente ancora impossibilitati dall’avere conseguito il loro primo titolo d studio.


Analafabeti o privi del titolo di studio per fasce di età riferita all’intera popolazione

Fascia di età Privi del titolo di studio analfabeti Totale popolazione % analfabeti/semianalfabeti rispetto alla popolazione della fascia di età considerata

6-10 anni 2.512.243 6.885 2.722.236 92,5%

11-14 anni 39.383 1.303 2.240.167 1,8%

15-19 anni 19.883 4.353 2.963.629 0,8%

20-24 anni 13.660 7.648 3.424.350 0,6%

25-29 anni 22.923 12.725 4.246.776 0,8%

30-34 anni 36.118 18.143 4.543.782 1,2%

35-39 anni 47.680 23.155 4.623.588 1,5%

40-44 anni 54.467 23.274 4.065.579 1,9%

45-49 anni 65.663 23.903 3.739.570 2,4%

50-54 anni 95.092 29.737 3.849.691 3,2%

55-59 anni 147.151 37.996 3.324.773 5,6%

60-64 anni 265.618 68.000 3.464.947 9,6%

65-69 anni 411.872 119.082 3.079.948 17,2%

70-74 anni 437.654 120.484 2.803.512 19,9%

75 anni e più 1.029.830 285.654 4.762.414 27,6%

Totale 5.199.237 782.342 53.854.962

Fonte Istat – Censimento 201


Tolti quegli oltre 2,5 milioni di scolari dal computo dei senza licenza elementare, restano circa altre 3 milioni e mezzo, di quei sei annunciati. 3,5 rispetto a 6 è molto meno, ma è sempre una discreta cifra. Ma chi sono questi tre milioni e mezzo?

Scorrendo la tabella Istat sui livelli di istruzione ricavati dal Censimento 2001, si può rilevare che più di 2,4 milioni in quella precaria situazione alfabetica hanno (anzi, avevano nel 2001) da 65 anni in su (in buona misura ultrasettantacinquenni). Si tratta di gente che a scuola c’è andata, più o meno regolarmente, durante l’ultima guerra e ancor prima. È dunque questa la grande emergenza alfabetica che postula un intervento di recupero strumentale del leggere, dello scrivere e del far di conto a favore di questi connazionali di serie B? È vero che “non è mai troppo tardi”, come diceva il buon maestro Manzi, ma ci sembra proprio che mettere sotto lente di ingrandimento, come emergenza sociale, oggi, i livelli di istruzione di una parte dei nonni italiani ci sembra, oltre che poco credibile, soprattutto antistorico e deviante rispetto ad altri alfabetismi emergenti.

Tralasciando questa presunta emergenza alfabetica dei 2,4 milioni di nonni italiani, resta scoperta una quota più credibile di analfabeti/semianalfabeti di poco più di un milione. Tutta qui, dunque l’emergenza alfabetica nazionale, su questo milione di connazionali deprivati?

Ma proviamo ad approfondire ancora, in cerca di nuove eventuali sorprese. Se scorriamo la tabella dei dati Istat del Censimento e ci soffermiamo sulla cosiddetta popolazione in età lavorativa (dai 15 ai 64 anni) – virtuale target di iniziative di alfabetizzazione – scopriamo che più di 640 mila di loro hanno (anzi, avevano nel 2001) da 50 a 64 anni. Si tratta circa di due persone su tre tra quel milione o poco più di italiani ad un livello di alfabetizzazione ritenuto insufficiente e inadeguato. La voglia di scoop e di fare richiamo a buon prezzo, anche a spese dell’immagine della scuola di base, può portare a questi risultati.


Nuovi alfabeti e nuovi analfabeti

L’emergenza alfabetica oggi è un’altra e interessa più che i giovani che frequentano scuole e istituti soprattutto gli ex-giovani che usciti dal sistema formativo da un decennio o due, rischiano di rimanere ai margini della società della conoscenza e della comunicazione, perché, pur possedendo i tradizionali strumenti alfabetici del leggere, scrivere e far di conto, sono spesso semianalfabeti nella conoscenza sicura di una lingua straniera (inglese in primis) e in informatica.

Quattro ragazzi italiani su cinque, tra i 14 e i 17 anni, usano il computer; e due su tre navigano nel web su internet. Lo rivela una recente indagine dell’Istat (ottobre 2005) che ha anche registrato quasi un raddoppio della navigazione su internet dal 2000 ad oggi da parte di questi giovanissimi. I trenta-quarantenni, se non lo fanno per lavoro, hanno meno occasioni di usare il computer o di navigare nel web all’interno della comunicazione planetaria. I più giovani, ancora inseriti nel mondo scolastico, hanno ricevuto o stanno ricevendo proprio dalla scuola i primi sostegni per alfabetizzarsi in informatica. I più anziani, invece, sono arrivati all’informatica quasi sempre con un fai da te che ha lasciato fuori dai pc migliaia o milioni di persone.

Tra questi gruppi di popolazione scolastica vi è un vero e proprio salto generazionale in materia di tecnologia. È presumibile, ad esempio, che la maggior parte dei trentenni che hanno voluto (o dovuto) fermare il loro cammino scolastico al termine della scuola di base, accontentandosi della sola licenza media, abbiano scarsa dimestichezza con l’informatica. Secondo il censimento 2001, tra i quasi 13,5 milioni di italiani di età compresa tra i 25 e i 39 anni, quasi il 39% (circa 5,2 milioni) sono in possesso della licenza media, essendosi limitati ad assolvere, a suo tempo, solamente all’obbligo scolastico.

Si tratta di persone licenziate dalla scuola media tra il 1976 e il 1990, quando il massimo della tecnologia a portata di mano era rappresentato dalle calcolatrici tascabili e la parola cellulare faceva pensare a certi mezzi della polizia, mentre il pc evocava il partito di Togliatti e di Berlinguer. Quegli ex-ragazzi di scuola media degli anni ’70 e ’80 sono rimasti orfani di computer e di internet o, quanto meno, la scuola non li ha introdotti al mondo dell’informatica. Forse a loro pensava De Mauro quando nel 2003 invocava uno sforzo pubblico per offrire una seconda opportunità per rimanere a pieno titolo nella società della conoscenza e della comunicazione.