Alternanza: perché è fondamentale che lavoro e scuola si parlino di più

In questi mesi di prima attuazione abbiamo, come spesso accade, raccolto tante testimonianze su casi concreti di realizzazione dell’Alternanza Scuola Lavoro. Quelli che fanno più notizia sono naturalmente negativi, e non c’è dubbio che ne esistano. In contemporanea mi però arrivano anche moltissimi racconti positivi. Sono interessanti le reazioni e le interviste di tanti ragazzi dei licei,e non solo degli istituti tecnici professionali. Ma quello che credo sia più importante è capire davvero la logica di fondo e il valore di questo nuovo momento, di scuola a tutti gli effetti e a pieno titolo.

Il senso profondo è che la dimensione concettuale, quella del logos, non può essere l’unico elemento al centro dell’educazione, e nemmeno quello prevalente o più qualificato.

La dimensione pratica, della prassi, l’esperienza, ha un valore che dal punto di vista pedagogico e civile è altrettanto rilevante rispetto al resto.

Questa riflessione non è assolutamente nuova, ma ancora deve combattere nel nostro Paese con una impostazione di fondo di derivazione prevalentemente gentiliana, che scinde, con un giudizio dogmatico e di valore, la dimensione teorica del sapere da quella pratica ed esperienziale.

Il raccontato, l’insegnato, rispetto al vissuto, al sentito.

Per me questo è forse il principale motivo di fondo per cui è stato giusto dare dignità curricolare, e quindi obbligatorietà, all’Alternanza e darle una dimensione rilevante dal punto di vista del numero delle ore ed estenderla, pur con tutte le differenze necessarie, a tutte le tipologie di scuola, ed in particolare a quelle appunto di impostazione teorica, come licei.

L’Alternanza non è stage e non è praticantato, l’Alternanza è la scuola che si apre al mondo dell’esperienza, che guarda fuori da se stessa, che incontra le diverse dimensioni del lavoro: quello culturale, quello aziendale, quello della pubblica amministrazione e che, in una dimensione di mutuo scambio, permette ai ragazzi di sviluppare quelle competenze relazionali, quel misurarsi con se stessi, con la comprensione delle dinamiche organizzative che è uno dei tasselli di un’idea contemporanea di formazione.

Un mondo della scuola non chiuso in una bolla, una formazione permanente che dura tutta la vita. E che svolge anche una funzione orientativa. Non sono pochi infatti gli studenti che hanno capito meglio e magari cambiato idea su un impiego cui ambivano.

Una scuola che  co-progetta con l’impresa il percorso: questo tanto a garanzia della funzione pedagogica del percorso stesso, ma soprattutto come momento per abbattere il muro che separa troppo spesso questi due mondi.

Siamo tutti consapevoli che esperienze positive in questo senso in Italia c’erano, e non poche, anche prima della legge 107. Ma il senso di renderla curricolare e nazionale introduce proprio questa differenza. Non si tratta più di un’eccezione, di una buona pratica, ma di uno dei pilastri della formazione dei cittadini di domani.

E non tanto per introdurre i ragazzi e le ragazze al lavoro che faranno, anche perché probabilmente nella loro vita non faranno un solo lavoro, e questo deve diventare sempre di più un elemento positivo di emancipazione, che aumenta le possibilità di realizzarsi.

Si tratta invece esattamente di ridare piena dignità al Lavoro, che la nostra Costituzione definisce elemento fondativo della Repubblica, attribuendogli quindi un ruolo che va ben oltre quello puramente economico, necessario per procurarsi di che sopravvivere, ma una e dimensione valoriale, etica.

Naturalmente è necessario monitorare passo per passo la fase di attuazione, e non avere alcuna paura di ammettere problematiche ed errori, intervenire puntualmente e far crescere le competenze per la gestione di questo processo.

Aiutare tanto le scuole, quanto l’impresa, e chiarire le zone d’ombra coinvolgendo maggiormente gli studenti nella definizione dello statuto dei diritti e dei doveri come in tutta l’organizzazione dei percorsi dentro le scuole.

Ma tutto ciò si può fare se si parte dal riconoscimento del valore di una scelta che ha a che vedere con l’idea di scuola, con l’idea di cittadinanza e con l’idea dello sviluppo personale in una concezione meno nozionistica e più esperienziale.

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