Afghanistan, scuola e democrazia: è esportabile il modello occidentale?

Il rapido e affannato ritiro dall’Afghanistan dei contingenti militari della coalizione NATO, guidata dagli Stati Uniti d’America, e l’altrettanto rapida conquista del potere politico e militare da parte dei Talebani, ha suscitato nel mondo occidentale, e anche in Italia, un acceso dibattito sul tema della esportabilità della democrazia – o meglio del modello liberaldemocratico, fondato sulla libertà di pensiero, la rappresentanza pluralista e l’equilibrio tra poteri e contropoteri – in Paesi che non hanno alle spalle una storia e una tradizione di questo tipo.

Malgrado 20 anni di prove di Nation Building secondo il modello occidentale sono bastati pochi giorni per vedere le fragili istituzioni rappresentative create in due decenni di esperimenti crollare come un castello di carte, sostituite da una monarchia teocratica affiancata da una leadership politico-militare da essa dipendente, un po’ sul modello iraniano.

Come sempre la politica scolastica è una perfetta cartina al tornasole per comprendere l’orientamento politico generale e la visione della società di chi detiene il potere, soprattutto dove questo è nelle mani di un ristretto vertice autocratico, per non dire monocratico. Così le prime decisioni prese dal facente funzioni di ministro dell’istruzione, Abdul Baqi Haqqani, sono state, a quanto riferiscono fonti locali riprese dalla stampa internazionale, quella di vietare le classi miste, anche all’università, e quella di impedire agli insegnanti maschi di insegnare nelle classi femminili, con la conseguenza di rendere difficile se non impossibile la partecipazione delle donne ai processi formativi.

Ci sono state proteste nelle maggiori città, compresa Herat (dove aveva operato il contingente italiano), guidate da donne coraggiose, soprattutto insegnanti ma anche giornaliste, avvocate, medici (o mediche, come consente la Crusca), formatesi nei vent’anni di funzionamento del modello educativo liberal-democratico. Auguriamo loro di aver fortuna in questa battaglia difficile, perché il loro successo significherebbe che il seme della libertà ha attecchito anche in un Paese che pure sembra diretto a riconfermare la tradizionale (per una parte preponderante del mondo musulmano) condizione di discriminazione e subalternità delle donne nella società, a partire dalla loro educazione. Ma quale (quali) libertà rivendicano le giovani afghane del XXI secolo?

Proviamo a dirlo con le parole, di straordinaria attualità, pronunciate oltre due secoli fa da Benjamin Constant, uno dei principali teorici del modello politico liberal-democratico, nel “Discorso sulla libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni”, pronunciato nel 1819.

In quella occasione Constant illustrò le caratteristiche fondamentali della “libertà dei moderni” con queste parole, citate da Dino Cofrancesco, docente di Storia delle dottrine politiche nell’università di Genova, tra i più autorevoli studiosi contemporanei del liberalismo, in un intervento pubblicato su Huffingtopost.it il 31/8/2021:

Chiedetevi innanzi tutto, Signori (Constant si rivolgeva ai membri dell’Athénée Royal, NdR), che cosa intendano oggi con la parola libertà un inglese, un francese, un abitante degli Stati Uniti d’America. Il diritto di ciascuno di non essere sottoposto che alle leggi, di non poter essere né arrestato, né detenuto, né messo a morte, né maltrattato in alcun modo a causa dell’arbitrio di uno o più individui. Il diritto di ciascuno di dire la sua opinione, di scegliere la sua industria e di esercitarla, di disporre della sua proprietà e anche di abusarne; di andare, di venire senza doverne ottenere il permesso e senza render conto delle proprie intenzioni e della propria condotta. Il diritto di ciascuno di riunirsi con altri individui sia per conferire sui propri interessi, sia per professare il culto che egli e i suoi associati preferiscono, sia semplicemente per occupare le sue giornate o le sue ore nel modo più conforme alle sue inclinazioni, alle sue fantasie. Il diritto, infine, di ciascuno di influire sulla amministrazione del governo sia nominando tutti o alcuni dei funzionari, sia mediante rimostranze, petizioni, richieste che l’autorità sia più o meno obbligata a prendere in considerazione”.

Le donne che a Kabul e a Herat scendono in piazza in questi giorni stanno cercando di esercitare questi diritti. Ma ad essi si aggiunge quello delle donne all’uguaglianza, che in Paese a guida musulmana integralista (ma forse meno fondamentalista di vent’anni fa) avrebbe un valore rivoluzionario: per questo la loro battaglia assume un valore emblematico, e dobbiamo tutti augurarci, se siamo convinti della attualità del discorso di Constant, che esse riescano a portare il loro Paese verso la “libertà dei moderni”. Un primo, ma decisivo passo, sarebbe proprio quello di non subire discriminazioni a scuola e nelle università.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Background photo created by natanaelginting – www.freepik.com