Abravanel: ok presidi, ma quelli bravi sono pochi

L’ultimo libro di Roger Abravanel, “La ricreazione è finita”, scritto con Luca D’Agnese (Rizzoli, 2015), reca il sottotitolo “Scegliere la scuola, trovare il lavoro’, ed è rivolto agli studenti e alle loro famiglie, posti di fronte alla difficile scelta del percorso formativo più idoneo a far trovare allo studente uno sbocco lavorativo adeguato.

Il volume, già recensito da Tuttoscuola.com, è uscito in libreria da poche settimane, quasi in coincidenza con la conclusione dell’iter parlamentare della riforma ‘Buona Scuola’. Ad Abravanel, che da tempo segue con attenzione le vicende della politica scolastica italiana, abbiano rivolto alcune domande sulla riforma appena approvata. 

 

Può darci un giudizio complessivo sulla ‘Buona Scuoladal punto di vista del contributo di questa legge a migliorare la qualità del nostro sistema educativo?

L’idea di puntare sui presidi è giusta. È dimostrato ampiamente che le migliori scuole hanno i migliori presidi. Il problema è che non tutti i 7000 presidi italiani hanno le caratteristiche di leadership necessarie. I presidi sono stati selezionati con concorsi di tipo burocratico e quelli bravissimi lo sono per vocazione, non per concorso. Dare più potere a questi ultimi, per esempio per selezionare e valutare gli insegnanti, sarà positivo, ma farlo con i mediocri e pessimi rischia di peggiorare la situazione. Per evitarlo sarà essenziale valutare e selezionare finalmente scuole e presidi.

Nel suo ultimo libro si sostiene che la ‘ricreazione, intesa come disimpegno e superficialità nella scelta della scuola, dovrebbe terminare soprattutto per quanto riguarda le famiglie. La nuova legge le può aiutare da questo punto di vista? Sarebbe utile pubblicare anche i dati relativi ai risultati ottenuti dalle singole classi, oltre che dalle scuole, nelle prove Invalsi?

La chiave sarà il risveglio delle famiglie italiane, che oggi non sono “clienti” esigenti delle scuole e delle università, per esempio non si lamentano che non preparino a sufficienza al lavoro.  Questa è anche la ragione per cui i media in Italia considerano che “la scuola non fa audience”. Una delle chiavi di questo risveglio sarà la maggior trasparenza sulla qualità obbiettiva a fronte di standard, per esempio appunto rendendo pubblici i risultati Invalsi delle singole scuole. I media potrebbero aiutare per esempio pubblicando il ranking delle scuole e delle università come avviene negli altri paesi.

Per chi è finita la ricreazione? Per i “bamboccioni”?

Assolutamente no. I bamboccioni hanno 28 anni e si trascinano stancamente alla università, stando con i genitori. Il saggio si rivolge ai giovani tra i 18 e i 24 anni, che oggi in Italia faticano molto più che in altri paesi a trovare lavoro, per colpa della scuola che non li prepara al lavoro, non perché sono “bamboccioni”.  E la crisi c’entra poco perchè questo problema va avanti da 20 anni ed è la causa principale della altissima disoccupazione giovanile italiana.

Il suo saggio, al contrario di altri che ha scritto, non propone riforme e la sua uscita in concomitanza con la “Buona Scuola” è una coincidenza. Cosa si propone di ottenere?

Come detto la “Buona Scuola” ci metterà degli anni ad avere un sistema di valutazione serio di scuole e di presidi. Io mi preoccupo di fornire dei suggerimenti alle famiglie per scegliere le “buone scuole” e la migliore alternanza scuola-lavoro per rientrare tra i 300mila neodiplomati e neo laureati che ogni anno trovano lavoro.

Qualcuno di questi suggerimenti?

Scegliere il percorso formativo sulla base delle proprie passioni e non delle idee dei propri genitori.  Capire che le scuole e le università non sono tutte eguali, ce ne sono di ottime, mediocri e pessime. Quindi scegliere le migliori scuole superiori sulla base di criteri obbiettivi come i test Invalsi e  Eduscopio, e non cercare le scuole sottocasa. Laurearsi conviene ma la scelta dell’ateneo è fondamentale e bisogna cercare di capire in modo obbiettivo le prospettive che la laurea offre. Lavorare durante gli studi: il mito “prima si studia e poi si lavora” è pericoloso. Cercare il lavoro non con le raccomandazioni, ma cercando le aziende che possono valorizzare il proprio profilo personale.