A scuola il cambiamento non è solo una questione di generazione

Di Teresa Madeo*

C’è solo una parola per descrivere l’attuale situazione, ovvero “confusione”. I nostri bambini e i nostri ragazzi vivono in un contesto confusionario e non hanno punti di riferimento. Ma è davvero così? La pandemia Covid-19 ha sicuramente portato allo scoperto tutti i problemi della scuola italiana, che però partono da molto lontano nel tempo. Ora questi problemi dobbiamo risolverli tutti subito, trovandoci ad affrontare un’emergenza nell’emergenza. E per capire quali sono queste esigenze scoperte della scuola italiana, dobbiamo necessariamente partire dall’inizio della diffusione in Italia del Covid-19, avvenuta a inizio 2020.

In questi anni di lavoro con e per la Scuola mi è capitato spesso di sentir mettere in campo varie questioni: scuole e famiglie fanno a gara su chi abbia più colpa se qualcosa va storto nell’educazione dei bambini o nei loro comportamenti e che tutti i cambiamenti che ci sono dipendono da un cambio generazionale, da genitori che sono assenti, da bambini che sono sempre più iperattivi e distratti, dalla presenza di troppi stranieri, di troppi alunni con disabilità e chi più ne ha, più ne metta.

Oltre a questo viviamo anche una situazione parallela: ci sono insegnanti che affermano che i genitori sono disattenti, menefreghisti, saccenti. O ancora ci sono insegnanti che si divertono a fare pettegolezzi su madri e padri nei corridoi durante l’intervallo, conversazioni tenute a bassa voce in classe, mentre i bambini con le mani alzate aspettano indicazioni. Ci sono professori che in classe pensano ai fatti loro, che confidano agli alunni le loro situazioni di cuore e poi si lamentano se gli alunni ne parlano dei corridoi tra loro, prendendoli in giro. Tutti pensano alle colpe, a chi è più efficiente di altri, tutti parlano di generazione che è cambiata ma nessuno, almeno in questi anni di lavoro, si è mai posto una domanda fondamentale: “Quali bisogni hanno i bambini e i ragazzi di oggi? Come la scuola e le famiglie possono andare incontro a questi bisogni, magari provando a parlare la stessa lingua?”.

Partiamo dalla situazione più concreta, che è giusto che tutti conoscano. È vero, i bambini stranieri nelle nostre aule sono aumentati, ed è altrettanto vero che i ragazzi con disabilità e difficoltà sono tanti. Molti in alcune classi, meno in altre. Il panorama scolastico ad oggi è composto da sigle e codici infiniti: DSA, BES, DVA, ADHD…

Dunque sono queste le classi delle scuole italiane odierne, classi nelle quali parlare di “normalità” ormai non ha alcun senso.

I nostri ragazzi stanno crescendo in un panorama a cui noi non siamo stati abituati, dove i “diversi” venivano prelevati dalla classe e portati fuori e chi li vedeva più per tutta la giornata, dove c’erano questi e i “normali”. Ma siamo sicuri che ad oggi ci siano ancora queste categorie?

Io non sono sicura che le categorie diverso/normale esistano, non so nemmeno se nella mia vita io abbia mai parlato di qualcuno come “diverso”, ma forse perché in quella categoria ci sarei finita io. Con la mia autoanalisi di oggi, mi dico che sicuramente sarei stata una BES o una DSA (io e la matematica abbiamo un buon rapporto a distanza e non fatemi fare conti perché proprio non ce la faccio, così come non trovo agevole l’uso delle doppie nella scrittura, e sono seria, non sto scherzando) fatto sta che al mio tempo, e non vado troppo lontano, tutto questo non c’era. 

Decreti, leggi, ordini, chiamateli come volete, io li riassumo in due parole sole: attenzione ai bisogni. 

Dall’alto ci dicono che nella scuola occorre stare attenti ai bisogni che gli alunni ci riferiscono, perché questa scuola non è più solo il luogo del sapere teorico, ma quello dove ogni ragazzo porta di sé qualunque cosa, e le persone che ci lavorano devono essere in grado di accogliere tutto questo. Benissimo, siamo tutti d’accordo che dovrebbe essere questo, vero?

Poi però sempre dall’alto tolgono fondi alle scuole e succede che fino al mese di novembre, e non voglio immaginare in futuro quanto tempo ancora ci vorrà, nelle classi regna la confusione più totale. 

Il problema reale è lì alla base. Anzi, più che dalla base viene proprio dall’alto. La scuola italiana pretende, mette l’attenzione sulle nuove emergenze sociali, psicologiche, cognitive e poi, al suo interno non permette a persone formate di intervenire. E chi ci rimette davvero sono i bambini e i ragazzi, e non solo quelli che hanno bisogno, ma tutti. Tutti i bambini e i ragazzi che abitano le nostre scuole hanno bisogni educativi speciali, perché l’epoca storica che stiamo vivendo è speciale e particolare: tutto quello che ci circonda è insicuro e fragile e terribilmente superfluo a volte e loro stanno crescendo nello stesso modo, terribilmente fragili. 

Insegnanti anziani che non vedono l’ora di andare in pensione e affermano di non capire più i ragazzi di oggi, insegnanti che spengono le luci della classe e accendono una LIM nella speranza che risulti più interessante delle parole che possono dire, non tenendo conto che i ragazzi hanno bisogno delle nostre parole. Ma non delle parole che spiegano solo le teorie e i teoremi, hanno bisogno di parole che parlino di vita reale. Hanno bisogno di dibattiti e confronti, di esprimere la loro opinione e di avere un ruolo attivo nelle lezioni. I bambini e i ragazzi di oggi non hanno più bisogno di stare seduti ai banchi tutto il giorno, ma di usare i loro corpi per imparare, di muoversi nello spazio per diventare autonomi, di fare pratica di questa vita che ad oggi o sei pronto o ti schiaccia. I bambini e i ragazzi di oggi hanno bisogno di coerenza e di certezze. La scuola è un’istituzione che non ha più niente di istituzionale. Un’istituzione è definita in questo modo perché è ciò che dovrebbe definire un ordine e delle regole. Le regole vengono date ai ragazzi ma la scuola non ne segue nessuna, almeno nessuna che abbia a che fare con la coscienza.

La Scuola non è più quella che ricordo ma è quella che nella mia testa vorrei diventasse di nuovo da una parte e differentemente dal passato dall’altra, e se il sistema è sbagliato allora possiamo cambiarlo nel nostro piccolo, agendo uno per uno, facendo un buon lavoro ogni giorno e tornando la sera a casa con la tranquillità di poterci guardare allo specchio senza rimorsi. 

Se il Coronavirus non ci avesse colpito, sicuramente saremmo ripartiti con le classi pollaio, sempre con i precari senza formazione e abilitazione e, soprattutto, senza preoccuparci affatto di un’eventuale pandemia globale.

Ma guardiamo avanti, altro non possiamo fare data la situazione. Al di là di tutte le questioni, teniamo sempre a mente la parola “Accortezza”. Qua non solo si sta giocando con il percorso scolastico degli attuali adolescenti, ma si sta minando la fiducia dei futuri adulti nell’importanza dell’istruzione. Stavolta stiamo affrontando una pandemia, in futuro il problema sarà un altro di sicuro: sulla scuola dobbiamo sempre essere vigili, pronti, attenti. Il Percorso scolastico, deve essere di svolta perlomeno per quanto riguarda l’approccio governativo alle questioni scolastiche: la scuola deve diventare priorità assoluta. Qualunque cosa accadrà in futuro, c’è una sola certezza: se dovremo ripartire di nuovo da una situazione grave, potremo farlo solo con una scuola in grado di funzionare, il passato già ce lo insegna. Bandendo la confusione.

*Prof.ssa IIS. Cellini Fi – Utilizzata su Progetti Nazionali presso USR Toscana