Voglia di meritocrazia nel lavoro e nella società. E nella scuola?

Le liberalizzazioni del ministro Bersani non hanno solamente introdotto (o cercato di introdurre) aria nuova nei mercati e nell’economia, ma stanno contribuendo a far cadere un tabù della sinistra italiana, dove non fa più scandalo, come un tempo, parlare di merito e di valorizzazione professionale.
L’assemblea di Confindustria dei giorni scorsi ha richiamato decisamente la questione meritocratica senza suscitare reazioni scandalizzate e, anzi, ottenendo anche attenzione e consenso, non solo a destra.
Il presidente del Consiglio, Prodi, potrebbe mettere sul tavolo del prossimo confronto con i sindacati per il rinnovo del contratto degli statali non solo la triennalità della cadenza contrattuale, ma, a quanto si dice, anche la qualificazione dei servizi pubblici attraverso l’incentivo al merito e alla professionalità dei dipendenti.
La legge di riforma degli esami di Stato ha stanziato 5 milioni di euro per compensare le eccellenze tra gli studenti dell’istruzione secondaria superiore, senza contare il maggior spazio riservato per i crediti scolastici e i debiti formativi.
Insomma, la meritocrazia non è un valore di destra (anche se c’è da dire che il precedente Governo non è che se ne sia ricordato molto) e potrebbe diventare leva per l’innovazione.
Chissà se nel prossimo contratto per la scuola si darà spazio a nuove regole che facciano emergere le differenze, valorizzino concretamente impegno e professionalità, evitino appiattimenti ed egualitarismi che spesso sono fonte non di equità ma di demotivazione?