Rapporto Invalsi 2025/1. La dispersione esplicita diminuisce, quella implicita aumenta

Come sta la scuola italiana? Stando ai dati dell’annuale check-up dell’Invalsi contenuto nel Rapporto 2025 dell’Istituto, presentato alla Camera dal presidente dell’Istituto di valutazione, Roberto Ricci, alla presenza del ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, ci sono buone ma anche cattive notizie.

Scende infatti il dato della dispersione scolastica esplicita, ora al 9,8% (sette anni fa era al 14,5%), cioè quello dei 18-24nni che non conseguono un diploma di scuola secondaria superiore, ma sale quello della dispersione implicita – un fenomeno che Ricci ha cominciato a misurare dal 2019, avvalendosi dell’esito delle prove Invalsi di italiano e matematica sostenute dagli studenti dell’ultimo anno (i maturandi) – che evidenzia il fatto che se da una parte sono sempre di più gli studenti che riescono a diplomarsi, dall’altra, come risulta dai test, il livello reale di competenze di molti diplomati è assolutamente insoddisfacente. Secondo l’Invalsi solo poco più del cinquanta per cento di chi affronta la Maturità raggiunge livelli sufficienti in italiano, e in matematica meno della metà. In alcune regioni come Lazio, Campania, Calabria, soltanto due su cinque (40 per cento); in Sicilia e Sardegna, uno su tre (30 per cento): risultati addirittura peggiori che nel periodo Covid.

Certo, pesano le differenze di partenza degli studenti: lo svantaggio economico sociale, l’aumento degli immigrati di prima e seconda generazione, il sesso (le femmine faticano in matematica, i maschi in italiano). Ma soprattutto si confermano enormi divari fra le macroaree regionali: le scuole del Sud hanno una percentuale di studenti che l’Invalsi definisce “fragili” quadrupla rispetto a quelle del Nord e, all’opposto, gli studenti “eccellenti” sono meno di un terzo di quelli settentrionali.

Un disastro? No dal punto di vista formale, perché il trend dei diplomati è positivo (l’Italia dovrebbe riuscire a tagliare il traguardo del 9 per cento, fissato dall’Europa per il 2030, già dal prossimo anno: secondo una proiezione del Ministero la dispersione sarebbe già all’8,3%). Sì, se si ritiene che il gap di competenze in italiano e matematica (va meglio solo l’inglese) rivelato dal Rapporto Invalsi 2025 sia un indicatore, anzi un predittore, di probabili fallimenti futuri sia negli studi post-secondari che nel lavoro. Ma è così? Davvero l’esito di quei test – peraltro scrupolosamente progettati e somministrati dai ricercatori dell’Invalsi – può essere considerato come una conferma senza scampo del giudizio perentorio sul nostro sistema educativo dato dal Censis nel suo ultimo Rapporto (dicembre 2024): “Siamo un Paese di ignoranti?”. Proviamo a discuterne nelle prossime notizie.

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