Neurodidattica e attività outdoor. Cosa succede al cervello fuori dalla classe

La scuola del presente non può più ignorare ciò che le neuroscienze hanno reso evidente: il cervello apprende in modo più efficace quando viene coinvolto in ambienti ricchi di stimoli, dove emozione, movimento e relazioni giocano un ruolo centrale. In questa prospettiva, l’educazione outdoor e la neurodidattica si incontrano e si rafforzano, offrendo nuove chiavi per comprendere e rinnovare le pratiche educative. Esplorare cosa accade al cervello quando l’apprendimento esce dalle pareti dell’aula e si apre al mondo, alla natura, al corpo e all’esperienza. Non si tratta solo di un cambiamento di scenario, ma di un mutamento profondo nel modo di concepire il processo educativo, che diventa più aderente alla natura biologica dell’apprendere umano. Come afferma Francisco Varela «La mente non è un cervello in una scatola, ma un sistema incarnato e situato nel mondo».

Dopotutto negli ultimi anni, la ricerca neuroscientifica ha confermato ciò che l’intuizione pedagogica suggeriva da tempo, ovvero che il cervello apprende meglio quando è coinvolto in modo attivo, emotivo e multisensoriale. La neurodidattica, disciplina che integra le neuroscienze con le scienze dell’educazione, ha rivoluzionato il modo di intendere l’apprendimento, dimostrando che le condizioni ambientali influenzano in maniera significativa i processi cognitivi. Come sottolinea Manfred Spitzer, uno dei principali divulgatori della neuroeducazione, «La scuola del futuro sarà quella che saprà integrare movimento, emozioni e relazioni nei processi cognitivi». L’apprendimento, per essere efficace, deve basarsi su esperienze concrete e significative, capaci di stimolare più canali sensoriali e di generare una rielaborazione personale. Le attività outdoor rappresentano un’opportunità preziosa per spostare il sapere dalla teoria alla pratica, immergendo gli studenti in contesti stimolanti in cui corpo e mente collaborano armonicamente. Si abbandona l’idea dell’alunno passivo per accogliere quella dello studente protagonista, artefice del proprio percorso formativo. Le neuroscienze evidenziano che l’apprendimento attivo favorisce la costruzione di reti neurali più estese e resistenti, facilitando il trasferimento delle competenze in contesti diversi.

Quando il cervello incontra la natura

L’ambiente naturale stimola il cervello in modi che le pareti di un’aula difficilmente riescono a replicare. Il contatto con la luce naturale, i colori, i suoni e gli odori dell’esterno favorisce il rilascio di dopamina e serotonina, neurotrasmettitori legati al benessere e all’attenzione. Questi effetti migliorano non solo l’umore, ma anche la concentrazione e la predisposizione all’apprendimento, contrastando lo stress e la fatica mentale. Come ha dimostrato Richard Louv nel suo libro “L’ultimo bambino nei boschi”, il contatto con la natura è fondamentale per lo sviluppo emotivo e cognitivo dei giovani: «La natura calma i bambini, stimola la loro immaginazione e migliora la loro capacità di apprendere». Inoltre, la varietà degli stimoli sensoriali favorisce la plasticità cerebrale, cioè la capacità del cervello di modificare le proprie connessioni sinaptiche in risposta all’esperienza. Tale plasticità è essenziale nei processi educativi, poiché consente al cervello di adattarsi, di apprendere in modo dinamico, di costruire significati nuovi. Attività semplici come camminare, osservare il paesaggio o interagire con elementi naturali facilitano il consolidamento delle informazioni apprese, ancorandole a esperienze vissute e rendendole più durature nel tempo. Studi condotti su studenti che hanno partecipato a progetti didattici all’aria aperta dimostrano un miglioramento nelle prestazioni cognitive e una maggiore capacità di autoregolazione emotiva.

Il corpo come alleato del pensiero

Uno degli assunti fondamentali della neurodidattica è che il pensiero non è disincarnato. Il corpo è parte integrante dei processi cognitivi. Ogni apprendimento è, in qualche misura, anche corporeo: attraverso il movimento, la manipolazione, l’interazione con lo spazio, si costruisce una comprensione più profonda e concreta della realtà. Secondo Gerald Hüther, neurobiologo tedesco, «Il movimento è il motore dell’apprendimento» e ogni esperienza vissuta attraverso il corpo si fissa con maggiore facilità nella memoria. Muoversi nello spazio, toccare oggetti, orientarsi tra percorsi e ostacoli stimola l’integrazione tra i lobi frontali e le aree motorie del cervello, potenziando le capacità di problem solving, la memoria di lavoro, la concentrazione e la flessibilità cognitiva. Le attività all’aperto, con la loro dimensione corporea, cooperativa e concreta, permettono di attivare più aree cerebrali simultaneamente, favorendo un apprendimento complesso e profondo. Anche la memoria motoria entra in gioco, trasformando i concetti astratti in esperienze tangibili, che il corpo riconosce e il cervello fissa più facilmente. L’embodied cognition, cioè la cognizione incarnata, rappresenta oggi una delle teorie più promettenti per comprendere come il corpo contribuisca a strutturare il pensiero. Camminare, ad esempio, stimola il pensiero creativo e divergente, aprendo nuove vie all’elaborazione delle idee. Lo stesso Nietzsche sosteneva: «Tutte le idee migliori mi sono venute camminando».

Inoltre le emozioni giocano un ruolo chiave nell’apprendimento. La neurodidattica ci insegna che ciò che emoziona, si ricorda. Un’esperienza vissuta con coinvolgimento emotivo attiva l’amigdala, che a sua volta stimola l’ippocampo, struttura deputata alla formazione della memoria. Come afferma Mary Helen Immordino-Yang, neuroscienziata dell’Università della California del Sud, «Non possiamo insegnare bene se non ci preoccupiamo di ciò che provano gli studenti». Gli ambienti esterni offrono contesti più ricchi dal punto di vista affettivo: il senso di scoperta, l’imprevisto, la bellezza naturale, l’interazione con i compagni in modo informale e libero favoriscono un clima emotivo positivo. In tali condizioni, l’apprendimento avviene con maggiore naturalezza e profondità. Inoltre, la motivazione intrinseca viene potenziata poiché imparare fuori dalla classe restituisce agli studenti un senso di agency, di autonomia, di fiducia nelle proprie capacità. Il contesto outdoor rompe la routine, stimola la curiosità, invita all’esplorazione. In questo modo, lo studio diventa avventura, e la conoscenza un territorio da scoprire. Non a caso, numerose scuole nordiche e anglosassoni adottano modelli educativi basati su outdoor learning, favorendo ambienti educativi affettivamente accoglienti e cognitivamente stimolanti, capaci di integrare la crescita personale con l’acquisizione di competenze.

Didattica immersiva e apprendimento significativo

Portare la lezione all’aperto significa anche cambiare il paradigma educativo. Non si tratta solo di spostare l’ambiente fisico, ma di ripensare la relazione educativa, di superare la frontalità e favorire una costruzione attiva e partecipata del sapere. L’insegnante diventa facilitatore, guida, promotore di esperienze che nascono dalle domande degli studenti. Come ricorda John Dewey «L’educazione non è preparazione alla vita; è la vita stessa». La conoscenza si costruisce in modo cooperativo, attraverso l’interazione con i compagni, la sperimentazione, l’osservazione, la riflessione. Questo approccio valorizza il pensiero divergente, l’osservazione critica, l’empatia e la capacità di connessione tra discipline. Si impara facendo, riflettendo e condividendo. L’outdoor education si avvicina, così, all’idea di apprendimento autentico e situato, in cui il sapere non è più sterile astrazione ma risposta a un bisogno, a una curiosità, a una sfida reale. La scuola si apre al mondo e si fa laboratorio di vita. Le neuroscienze confermano che l’apprendimento situato, ancorato a contesti concreti, favorisce un’attivazione neuronale più intensa e diffusa, rendendo il sapere più solido e trasferibile.

Nel mondo post-pandemico, in cui si riscopre il valore del contatto con la natura e della salute mentale, ripensare la scuola anche in chiave outdoor è una sfida urgente e concreta. L’isolamento forzato, l’uso prolungato della didattica a distanza, la carenza di interazioni spontanee hanno evidenziato l’importanza del benessere psicofisico nei processi di apprendimento. La neurodidattica fornisce le basi scientifiche per sostenere questa trasformazione, dimostrando che apprendere fuori dall’aula non è una moda ma una necessità. Come afferma Daniela Lucangeli «Non esistono emozioni neutre: ogni emozione modifica il nostro apprendimento». Rendere l’ambiente una risorsa didattica, riconnettere mente e corpo, valorizzare l’emozione come motore del sapere sono passi fondamentali per costruire una scuola che respira con i suoi studenti, che cresce con loro e che li accompagna, con delicatezza e rigore, nel cammino della conoscenza. Una scuola che ascolta il battito della vita e si rinnova nel contatto con l’aria, la luce, il tempo che scorre davvero. È in questa direzione che si collocano le migliori pratiche pedagogiche del futuro, che integrano i saperi tradizionali con le intuizioni della scienza contemporanea.

Ripensare l’apprendimento alla luce della neurodidattica e delle attività outdoor significa riconoscere che educare non è solo trasmettere contenuti, ma creare le condizioni affinché ogni studente possa fiorire, nella mente e nel cuore. Il cervello umano, plasmato da millenni di interazione con l’ambiente naturale, trova fuori dall’aula un terreno fertile per crescere, esplorare, ricordare. È tempo di ascoltare ciò che la scienza ci insegna e di abbracciare una pedagogia che sa uscire dai confini, per costruire una scuola più viva, più autentica, più umana. Una scuola che non rinuncia alla profondità per seguire le mode, ma che sceglie di fondarsi su ciò che rende davvero possibile la crescita: la meraviglia, il movimento, la relazione. Solo così l’educazione potrà diventare non solo un’azione efficace, ma anche un atto di cura e di speranza.

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