Ludovica Ciaschetti: ‘La scuola dovrebbe valorizzare la diversità di ogni individuo’. L’intervista

Di Sara Morandi

Ludovica Ciaschetti, giovane attrice emergente, si racconta a “Tuttoscuola” condividendo le sfide e le emozioni vissute nel portare in scena ruoli complessi e intensi. La sua interpretazione di Elisa Claps in “Per Elisa – Il Caso Claps” ha richiesto una preparazione profonda e sensibile, cercando di catturare l’innocenza e la vitalità di una giovane vita, un paradosso che ha reso l’esperienza particolarmente provante. “È stata un’esperienza di cui faccio tesoro soprattutto come essere umano”, afferma Ludovica, riflettendo sull’impatto duraturo che il ruolo ha avuto su di lei. Guardando al futuro, l’attrice abruzzese immagina una scuola che valorizzi l’unicità di ogni individuo, un ambiente che riconosca e promuova la diversità come punto di forza. Sogna una scuola che insegni il rispetto per se stessi e per gli altri, un fondamento essenziale per i giovani adulti che si preparano a scrivere la loro storia nel mondo. “Il rispetto che un adulto ha nei confronti dei sogni dei giovani ragazzi è fondamentale”, conclude, invitando i giovani a scrivere la propria storia con coraggio e determinazione.

Ciao Ludovica, benvenuta su “Tuttoscuola”. Il ruolo di Elisa Claps in “Per Elisa – Il Caso Claps” è stato intenso e complesso. Come ti sei preparata per interpretare un personaggio così delicato e quale impatto ha avuto su di te? Qual è stata la sfida più grande nell’interpretare questo ruolo?  

“Ho lavorato in quei mesi cercando di restituire l’ingenuità, la purezza e la leggerezza di una giovane ragazza piena di vita. Può sembrare un paradosso, ed è stato per questo molto provante, ma di Elisa volevo che trasparisse un fortissimo attaccamento alla vita e alla sua età. La sfida più grande è stata forse conciliare questa inconsapevolezza che il personaggio porta con sé con l’estremo senso di responsabilità che, come attrice, sentivo nel farmi mezzo per raccontare questa storia. È stata un’esperienza di cui faccio tesoro soprattutto come essere umano. La famiglia Claps è stata per me un esempio evidente della forza che risiede dentro ognuno di noi. Custodisco con molta cura le parole e il sorriso di Filomena”.

 “Che Dio ci aiuti 8” ti vede nei panni di Olly. Come descriveresti questo personaggio e quali sfide hai incontrato nel portarlo in scena?

“Olly è una ‘veterana’ della Casa del Sorriso, è molto spigliata, meticolosa, carismatica anche nel suo cinismo. È un personaggio che può apparire spigoloso nei suoi modi, ma nasconde una grande fragilità, soprattutto in seguito alla perdita dei suoi genitori. È proprio quando gli equilibri si spezzano che Olly si darà la possibilità di affidarsi finalmente anche all’altro. La sfida più grande è stata sicuramente cercare di trovare dei piccoli spiragli in Olly con cui il pubblico potesse empatizzare o sorridere. È molto facile giudicarla dai modi talvolta affrettati e cinici che ha, specialmente nei primi episodi, prima di approfondire la sua storia”.

Quanto studia un attore, un’attrice quotidianamente il proprio personaggio? Riesci a conciliare lo studio con il lavoro?

“Un attore studia tanto, e in tante forme diverse da quelle convenzionali. Il lavoro più grande forse lo si fa quando non stiamo lavorando. Portiamo in scena delle vite, e ogni volta si può avere la fortuna di raccontare un punto di vista diverso. È un grande privilegio in questo senso. Lo studio aiuta ad avere gli strumenti giusti quando queste opportunità arrivano e a darci la possibilità di essere uno spettro di cose variegate e non limitarci a un cassetto unico. Negli ultimi tre anni ho studiato in Accademia e lavorato nel frattempo. Non è stato semplice, ma entrambi i percorsi mi hanno arricchito in maniera unica: si sono alimentati a vicenda e non avrei potuto farne a meno”.

Puoi raccontarci come è stato il passaggio dal teatro alla televisione e quale delle due esperienze preferisci?

“Non c’è mai stato un passaggio netto tra teatro e televisione per me. Mentre studiavo in Accademia, ho avuto la fortuna di iniziare a lavorare fuori e portare avanti entrambi i percorsi. Sono due mondi che possono coesistere in un percorso artistico: sono certamente linguaggi diversi, ma quando si ha qualcosa da dire basta trovare la forma più giusta per comunicarla e cercare di aderirvi il più possibile”.

 Secondo te cosa manca alla scuola di oggi? Come sogni la scuola del futuro?

“Sono molto affezionata al concetto di educazione. Penso che prendere consapevolezza di quello che ci circonda sia il primo passo per essere indipendenti. Quello che nel mio ideale sarebbe giusto incoraggiare molto di più è l’unicità. La scuola è l’ambiente che ci vede crescere, forse, negli anni più importanti del nostro sviluppo come giovani adulti, e dovrebbe valorizzare la diversità di ogni individuo, riconoscerla, accettarla e farne un punto di forza, qualcosa su cui puntare per costruire il futuro di ognuno di noi, non opprimerla per aderire a un singolo ideale di ‘buon studente’ o ‘buon individuo’. Il valore più importante per un giovane adulto nel mondo è il rispetto, verso sé stessi e, di conseguenza, verso l’altro. Lo si può imparare anche da un ambiente come quello scolastico: il rispetto che un adulto ha nei confronti dei sogni dei giovani ragazzi, delle loro difficoltà e della loro unicità. La vostra storia è ancora tutta da scrivere, scrivetela con coraggio e senza paura”.

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