
Making e Thinkering: creare, progettare, imparare

Creare, progettare, realizzare e imparare hanno da sempre rappresentato leve potenti per motivare bambini e ragazzi allo studio, perché offrono loro l’opportunità di agire sulla realtà, di plasmarla secondo la propria visione e, soprattutto, di mettere in pratica ciò che hanno appreso. Questa dimensione esperienziale, trasformativa e coinvolgente dell’apprendimento è il motore profondo della curiosità e dell’impegno: quando gli studenti fanno, si sentono protagonisti autentici del proprio percorso formativo, artefici del cambiamento.
Se questo era valido nel passato, oggi la didattica del fare si avvale di strumenti straordinariamente potenti e diffusi. La rete, autentica miniera di saperi condivisi, offre accesso a schemi, mappe concettuali, tutorial, video e piattaforme collaborative che consentono agli studenti di apprendere in autonomia, sviluppare nuove competenze, sperimentare tecniche inedite e trovare soluzioni creative. Il digitale non sostituisce l’esperienza concreta, ma la potenzia, amplifica le opportunità espressive, rafforza l’autonomia e nutre l’autoefficacia.
Inoltre, quando il fare è condiviso all’interno di gruppi cooperativi, diventa occasione di crescita relazionale ed emotiva. Lavorare insieme su progetti comuni favorisce la socializzazione, stimola il confronto costruttivo, rafforza il senso di appartenenza e permette di sviluppare empatia e rispetto reciproco. In questo modo, la scuola si trasforma in una comunità operativa, in cui la collaborazione prevale sulla competizione e il sapere si costruisce in modo collettivo e dialogico.
All’interno di questo scenario in continua evoluzione, il Making e il Thinkering si impongono come due approcci didattici capaci di interpretare appieno le esigenze di una scuola del futuro. Essi pongono al centro l’esperienza, la progettazione, la creatività, l’errore come risorsa e il pensiero riflessivo. Non sono semplici pratiche laboratoriali, ma strumenti pedagogici innovativi che ridefiniscono il concetto stesso di apprendimento: non più trasmissione, ma costruzione; non più passività, ma azione; non più isolamento, ma interazione.
In un’epoca in cui la digitalizzazione, l’intelligenza artificiale e la complessità sociale richiedono nuove competenze e nuovi alfabeti, il “fare con senso” diventa uno dei pilastri per una scuola che voglia formare cittadini consapevoli, creativi e responsabili. Un fare intenzionale, critico e progettuale, capace di generare apprendimento profondo, motivazione autentica e orientamento verso il futuro.
Storia e nascita del movimento del Making
Il movimento Maker nasce agli inizi degli anni Duemila negli Stati Uniti, in un contesto culturale che valorizza l’hacking, il DIY (Do It Yourself), l’open source e la condivisione delle conoscenze. Si sviluppa come un’evoluzione dei laboratori artigianali tradizionali, ma arricchito dalle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie digitali, come le stampanti 3D, le schede elettroniche programmabili (Arduino, Raspberry Pi) e i software di modellazione. Il termine diventa popolare grazie alla rivista Make Magazine, fondata da Dale Dougherty, considerato uno dei padri del movimento, e alla diffusione dei primi FabLab (Fabrication Laboratory) e Maker Space, spazi di condivisione e co-creazione in cui tecnologia, arte e scienza si incontrano e dialogano.
Questi ambienti, spesso ospitati in biblioteche, scuole, università o centri culturali, diventano incubatori di innovazione sociale e educativa. L’approccio maker si fonda su valori come la collaborazione, la sperimentazione, la creatività e l’apprendimento continuo. Il Making si diffonde progressivamente anche nel mondo scolastico, inizialmente in alcune esperienze pilota negli Stati Uniti e successivamente in Europa, come risposta concreta all’esigenza di superare la lezione frontale e rendere l’apprendimento più significativo, coinvolgente e orientato allo sviluppo di competenze trasversali e pratiche.
Il concetto di Thinkering
Il termine “Thinkering” nasce dalla fusione tra “thinking” (pensare) e “tinkering” (armeggiare), e racchiude in sé un’intera filosofia dell’apprendere attraverso il fare riflessivo. Non si tratta soltanto di sperimentare con le mani, ma di attivare un processo mentale profondo, in cui l’azione concreta si intreccia costantemente con la riflessione. L’idea centrale è che il pensiero si sviluppi mentre si manipola la realtà, costruendo oggetti, prototipi, esperimenti, errori e soluzioni.
Questo concetto è strettamente connesso al learning by doing di Dewey, in cui l’esperienza diretta è considerata il fulcro dell’apprendimento, ma anche all’approccio del trial and error, dove l’errore non è fallimento, bensì occasione di apprendimento autentico. Il Thinkering stimola inoltre il pensiero divergente e creativo, promuove l’autoregolazione del pensiero e incoraggia la resilienza cognitiva, poiché rende l’allievo protagonista del proprio percorso, capace di affrontare complessità e incertezze.
In una società sempre più orientata al problem-solving e all’innovazione, il Thinkering rappresenta un metodo potente per allenare competenze trasversali, come la flessibilità mentale, la perseveranza e l’autonomia progettuale.
Le teorie pedagogiche connesse
Il Making si fonda su solide basi pedagogiche che affondano le radici nella scuola attiva e nel costruttivismo. Tra i principali riferimenti troviamo John Dewey, con la sua pedagogia dell’esperienza, secondo la quale il sapere si costruisce attraverso l’interazione tra individuo e ambiente, in un processo continuo di riflessione sull’azione. Dewey sosteneva che l’apprendimento dovesse essere centrato sullo studente e strettamente legato alla realtà, promuovendo il problem solving e l’indagine come strumenti cognitivi fondamentali.
Altro punto cardine è rappresentato da Seymour Papert, padre del costruttivismo computazionale e ideatore del linguaggio di programmazione LOGO. Papert sviluppa le teorie di Piaget e propone l’apprendimento attraverso la costruzione di artefatti digitali e materiali, rendendo l’educazione più coinvolgente e personalizzata. Per Papert, i bambini imparano meglio quando creano oggetti significativi per loro, in ambienti che stimolino la curiosità e la sperimentazione.
Jerome Bruner ha influenzato profondamente l’approccio maker con il concetto di scaffolding, cioè l’aiuto temporaneo fornito all’apprendente per portarlo verso livelli superiori di competenza, e l’importanza della narrazione come struttura cognitiva per costruire significato. Anche Lev Vygotskij apporta contributi fondamentali attraverso la sua teoria della zona di sviluppo prossimale, che evidenzia come l’apprendimento sia favorito dall’interazione con altri più esperti, siano essi adulti, pari o ambienti ricchi di stimoli.
Queste teorie convergono nel paradigma del Making, che riconosce nel fare un potente motore cognitivo, affettivo e sociale, capace di attivare processi di apprendimento autentico, duraturo e motivante.
Esempi pratici per ogni ordine di scuola
Scuola dell’infanzia: attività sensoriali e manipolative con materiali naturali e di riciclo (foglie, sassi, pasta colorata), costruzione di strumenti musicali semplici (tamburi, maracas), storytelling con oggetti e marionette, creazione di installazioni collettive. L’obiettivo è sviluppare la motricità fine, il linguaggio e la narrazione attraverso il gioco simbolico e l’esplorazione.
Scuola primaria: creazione di lapbook interattivi, robotica educativa con kit base come Bee-Bot e Lego WeDo, orti scolastici con sensori per il monitoraggio delle piante, artigianato digitale con l’uso di app per il disegno di schemi e modelli per le prime stampe 3D. Le attività sono spesso interdisciplinari e favoriscono la collaborazione e l’inclusione.
Scuola secondaria di primo grado: introduzione alla modellazione 3D e uso di stampanti 3D per realizzare oggetti utili o decorativi, progettazione e programmazione di videogiochi educativi con software come Scratch o MakeCode, esperimenti STEAM che integrano scienze, tecnologia, arte e matematica (ad esempio costruzione di modelli, macchine, meccanismi, strumenti musicali elettronici o circuiti artistici).
Scuola secondaria di secondo grado: sviluppo di prototipi elettronici complessi con Arduino e Raspberry Pi, creazione di podcast e contenuti digitali multimediali, modellazione CAD avanzata e ove disponibile CAM, progettazione di spazi urbani sostenibili, realizzazione di progetti imprenditoriali in team multidisciplinari con approcci PBL (Project Based Learning) e service learning. Realizzazione di escape room e avatar in mondi immersivi virtuali del metaverso. Sviluppo di ologrammi, anche attraverso prototipi autocostruiti, Le attività sono orientate anche all’orientamento professionale e al dialogo con il territorio e le imprese.
Approccio neuroscientifico e neurodidattica
Secondo le neuroscienze, l’apprendimento è più efficace quando coinvolge simultaneamente diversi canali sensoriali e quando è motivato da interesse, significato e coinvolgimento emotivo. Il Making, con le sue attività concrete e coinvolgenti, attiva le aree motorie, sensoriali ed emozionali del cervello, promuovendo l’integrazione tra emisfero destro e sinistro, e facilitando il consolidamento delle informazioni nella memoria a lungo termine, in particolare attraverso la memoria procedurale.
Queste modalità di apprendimento risuonano con le evidenze della neurodidattica, una disciplina che unisce neuroscienze, psicologia cognitiva e pedagogia per comprendere come apprendiamo meglio. La neurodidattica supporta l’adozione di strategie didattiche multisensoriali, fondate sull’azione, la manipolazione, il movimento e l’esperienza corporea, sottolineando l’importanza della curiosità, del gioco e della relazione. Inoltre, mette in luce il valore dell’autoefficacia e della motivazione intrinseca, componenti fondamentali per attivare l’attenzione e favorire la plasticità sinaptica.
Il Making, in questo senso, rappresenta una palestra cognitiva completa: l’alunno, agendo in contesti stimolanti e autentici, rinforza le connessioni neuronali, sviluppa l’intelligenza emotiva, costruisce mappe concettuali embodied e apprende in modo profondo, creativo e duraturo.
Ambienti di apprendimento e Makerspace
Per attivare percorsi di Making è necessario ripensare radicalmente gli spazi scolastici, superando il modello tradizionale dell’aula frontale per aprirsi a configurazioni dinamiche, flessibili e stimolanti. Il Makerspace è un ambiente educativo ibrido e creativo, in cui si fondono analogico e digitale, pensiero e azione, individualità e collaborazione. È dotato di strumenti tecnologici (stampanti 3D, laser cutter, kit di robotica, dispositivi di realtà aumentata) e materiali di uso quotidiano (cartone, stoffa, colla, legno), per incoraggiare la sperimentazione e la progettazione trasversale.
In un Makerspace, la disposizione degli arredi gioca un ruolo strategico: tavoli mobili, postazioni modulabili, angoli morbidi per la riflessione e zone attrezzate per la prototipazione favoriscono la libertà di movimento e la trasformabilità dello spazio a seconda delle attività. L’ambiente deve essere accogliente, accessibile e stimolante dal punto di vista visivo e sensoriale, per facilitare l’espressione creativa e l’interazione tra pari.
Inoltre, il Makerspace si configura come luogo di cittadinanza attiva e inclusione: accoglie studenti con stili cognitivi diversi, promuove l’autonomia, la corresponsabilità e l’interdisciplinarità, diventando uno spazio simbolico dove apprendere con le mani, la mente e il cuore. In questa logica, ogni scuola può trasformare anche ambienti non convenzionali (biblioteche, laboratori, atri, cortili) in luoghi maker, adattandoli alle proprie esigenze e risorse, per rendere l’apprendimento più significativo e trasformativo.
Compiti autentici di realtà
Il Making si presta perfettamente alla progettazione di compiti autentici, ovvero attività complesse, connesse alla realtà, che richiedono l’integrazione di conoscenze, abilità e attitudini personali. Questi compiti rappresentano situazioni problematiche significative, legate al contesto quotidiano, sociale o ambientale, che stimolano gli studenti a mobilitare risorse cognitive e creative per trovare soluzioni originali e sostenibili.
Ad esempio, costruire una serra automatizzata può diventare l’occasione per approfondire concetti di biologia, tecnologia, matematica e sostenibilità ambientale, con un output concreto utile alla comunità scolastica. Progettare una mostra interattiva permette di coniugare arte, storia, comunicazione visiva e nuove tecnologie, coinvolgendo anche le famiglie e il territorio. Realizzare un documentario su un tema di attualità consente di sviluppare competenze trasversali come il pensiero critico, la ricerca, la narrazione, la gestione del tempo e l’uso consapevole dei media.
I compiti autentici, inseriti all’interno di unità di apprendimento o progetti interdisciplinari, promuovono la motivazione intrinseca, il lavoro di gruppo e la valutazione autentica, favorendo una didattica orientata alle competenze e alla cittadinanza attiva. Il Making, con la sua natura laboratoriale e progettuale, offre le condizioni ideali per dare concretezza, senso e profondità a questo tipo di esperienze educative.
Modelli, schemi e artefatti
Durante il processo di Making, gli studenti producono artefatti: oggetti fisici o digitali che rappresentano in modo tangibile l’apprendimento acquisito. Questi artefatti possono assumere molteplici forme: modelli tridimensionali, schemi concettuali, codici informatici, video, esperienze in realtà aumentata, prototipi ingegneristici, installazioni artistiche. Il loro valore non risiede solo nell’oggetto finale, ma nel processo cognitivo, riflessivo ed emozionale che li ha generati.
Gli artefatti rendono visibile il pensiero, stimolano la metacognizione, documentano i percorsi di apprendimento e possono essere condivisi e valutati all’interno di una logica di feedback continuo e formativo. Questo approccio si lega profondamente al concetto di prodotto significativo delineato da Franca Da Re nella didattica per competenze, secondo cui l’apprendimento si consolida quando produce un risultato concreto, dotato di senso per lo studente, capace di integrare conoscenze, abilità, valori e relazioni. Il prodotto significativo diventa così testimonianza di competenza reale e punto di partenza per una riflessione critica sul proprio percorso.
In questo orizzonte, le nuove Linee guida per l’orientamento pongono l’accento sull’importanza del “Capolavoro” come esito emblematico del cammino formativo: un artefatto o una realizzazione complessa che racchiude il meglio delle proprie capacità e passioni, da costruire nel tempo e da utilizzare come narrazione del sé in prospettiva orientativa. Il Making, con la sua vocazione alla creazione autentica e personale, è il contesto ideale per far emergere tali Capolavori, offrendo agli studenti l’opportunità di esplorare la propria identità, dare forma alle proprie inclinazioni e costruire un ponte tra scuola, vita e futuro.
Conclusione: educare con le mani, la mente e il cuore
Integrare Making e Thinkering nella didattica significa restituire all’apprendimento il suo volto più autentico: quello dell’esplorazione attiva, della creatività incarnata, della scoperta personale. Significa trasformare la scuola in un laboratorio di vita, in cui il sapere si costruisce nella concretezza dell’esperienza, nell’intreccio tra fare e riflettere, tra errore e consapevolezza.
In un’epoca segnata da accelerazioni tecnologiche e incertezze sociali, l’educazione è chiamata a essere non solo trasmissione di contenuti, ma anche generatrice di senso, terreno di crescita umana e progettualità. Educare con il Making vuol dire aprire spazi in cui ogni studente possa sperimentare, collaborare, creare connessioni e lasciare tracce.
È attraverso questa visione trasformativa e sistemica che l’apprendimento coinvolge davvero le mani, la mente e il cuore: perché ciò che si costruisce con passione e significato, resta, si ricorda, orienta e forma.
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