Basta contratto. Il rapporto di lavoro dei docenti va definito per legge

La polemica che sta accompagnando in questi giorni l’ipotesi di contratto per docenti e personale Ata per il quale l’Anp ha denunciato profili di illegittimità, mentre centinaia di assemblee di consultazione approvavano l’intesa, ha richiamato prepotentemente la questione dello stato giuridico dei docenti da definire per legge o per contratto.
Con la privatizzazione dei contratti pubblici, la contrattazione interviene ampiamente nei contenuti del rapporto di lavoro. Il potere di chi contratta (sindacati) diventa enorme e può condizionare anche scelte di soggetti istituzionali (Parlamento e Governo).
Il caso ultimo del contratto della scuola, la cui intesa è stata definita il 16 maggio, è, per certi aspetti, emblematico: il contratto ha ignorato completamente la riforma Moratti (anche se si è riservato un successivo intervento a norme di attuazione definite), che pure è legge, anche se ancora priva della normativa attuativa.
Nel 1999 il contratto aveva invece dato sostegno alla riforma dell’autonomia (e anche in quel caso al momento della sottoscrizione mancavano le relative norme di attuazione). Il contratto è sempre stato un po’ arbitro delle riforme e ha orientato i contenuti del rapporto di lavoro dei docenti (orari, prestazioni, figure e funzioni professionali, organizzazione del lavoro, retribuzione accessoria, ecc.) in funzione (più o meno o per niente) delle riforme.
L’Anp, non avendo potuto partecipare al negoziato in quanto organizzazione sindacale non rappresentativa dell’area dei docenti, ha chiesto al Parlamento e al Governo di definire d’ora in poi lo stato giuridico dei docenti per legge, anziché per contratto. E le prime risposte sono già venute.