Dove sono i giovani del concorso?

Il ministro dell’istruzione Francesco Profumo ha più volte affermato nei mesi scorsi che il concorso doveva servire prima di tutto a svecchiare la scuola e ad aprire una prospettiva di lavoro ai giovani.

Su quegli obiettivi e sul principio di tornare al concorso come strada maestra per il reclutamento nella scuola siamo stati (non soli) sempre d’accordo, ma fin dall’inizio abbiamo espresso preoccupazione per la scelta dei modi e dei criteri da adottare per realizzare quegli obiettivi.

Preoccupazione che si è trasformata in delusione, quando abbiamo visto il bando del concorso e i requisiti di ammissione che hanno aperto a diplomati e laureati (tutti senza quell’abilitazione che si richiede oggi a chi è iscritto nelle graduatorie ad esaurimento) che hanno conseguito il titolo di studio dieci anni fa (i più giovani) o in teoria fino a trent’anni fa (i meno giovani).

Dai dati resi noti dal Miur risulta che l’età media dei candidati è di 38 anni e mezzo: c’è il rischio molto concreto che la scuola subisca un invecchiamento, anziché uno svecchiamento come era nelle intenzioni di Profumo.

Su questo scenario si apre uno spiraglio con le ordinanze 03985/12 e 04001/12 TAR del Tar Lazio che ha ammesso con riserva i laureati senza abilitazione che hanno fatto domanda di ammissione al concorso.

Per il ricambio generazionale diventa davvero determinante la qualità delle prove selettive. Ad esse è affidato il compito di riuscire a valutare competenze, attitudini e motivazioni per identificare i vincitori migliori.

Nei vari passaggi concorsuali di accertamento della padronanza, da parte del candidato, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), potrebbero essere avvantaggiati i candidati più giovani che con le TIC hanno più dimestichezza.