Crepuscolo del bipolarismo/2. La politica scolastica

Chi aveva pensato, o sperato, che la ‘seconda Repubblica’ avrebbe consentito la formazione di maggioranze più omogenee, capaci di sciogliere quei nodi delle grandi riforme scolastiche che l’indecisionismo della prima Repubblica non aveva saputo dipanare, è andato incontro a ripetute delusioni.

Basti ricordare il fallimento della riforma dei cicli di Berlinguer e quello della riforma Moratti, vittime entrambi delle forzate contraddizioni contenute nelle leggi che recano il loro nome prima ancora che del successo dei loro avversari politici nelle elezioni del 2001 e 2006.

Non è casuale che, almeno per quanto riguarda gli ordinamenti, gli ultimi due ministri – Fioroni e Gelmini – abbiano rinunciato a qualunque disegno di ‘grande riforma’ per ripiegare sulla razionalizzazione dell’esistente. Troppo forte è stato il condizionamento esercitato dalle minoranze all’interno delle maggioranze pro tempore per consentire disegni riformatori ambiziosi e realmente innovativi.

E come interpretare le ripetute sortite della Lega Nord all’interno della maggioranza di centro-destra uscita dalle elezioni del 2008 (sugli studenti stranieri, sul reclutamento degli insegnanti e dei dirigenti scolastici, sui simboli leghisti nelle scuole, perfino sui crocifissi nelle aule) se non come strappi identitari, ricerca di visibilità, preparazione a nuove sfide elettorali?

Sulla politica scolastica i Paesi dove il bipolarismo è più radicato, soprattutto quelli anglosassoni, hanno spesso trovato occasioni di dialogo e di decisioni bipartisan. Ma il bipolarismo nella versione che abbiamo conosciuto in Italia è andato in direzione opposta, mentre diventava, ed è, sempre più evidente che strategie educative veramente innovative richiederebbero una ampia convergenza politica e sociale. Non sappiamo se dalla attuale profonda crisi politica (se non della politica) si uscirà con un governo diverso dall’attuale: di emergenza, transizione, decantazione, ‘larghe intese’, oppure con elezioni politiche anticipate a breve termine. Nel primo caso la politica scolastica sarà una cartina al tornasole della capacità della (eventuale) nuova maggioranza di cercare e trovare soluzioni innovative se non bipartisan almeno largamente condivise.

Al Governo, questo o un altro conta poco, non va chiesto niente di nuovo, ma solo di fare quello che avrebbe dovuto fare ieri e che anche oggi continua a non fare: decidere per il bene comune un programma organico di trasformazione dell’offerta di istruzione e formazione capace di accrescere il livello di qualità degli esiti formativi dei giovani, di professionalità del personale dirigente e docente, di coinvolgimento delle famiglie, di governo amministrativo nazionale del sistema educativo. Non è poco, ma è quello che ci vorrebbe.