Sindacati e movimenti/2. Il neocorporativismo che cresce

Negli ultimi anni, con una vistosa escalation a partire dalla manovra finanziaria Tremonti (legge 133/2008), è andato aumentando il numero di movimenti, comitati e microorganizzazioni, tesi a difendere interessi settoriali se non di nicchia, a volte in forte contrasto tra di loro. Ma tutti uniti nella polemica contro i “vecchi” sindacati, quelli “più rappresentativi”.

Nemmeno le due sigle più note del sindacalismo di base, i Cobas e l’Unicobas, sono riuscite a convogliare la protesta delle diverse categorie e sottocategorie, che tendono piuttosto, con l’aiuto online del social networking, ad autoorganizzarsi in piccole ma compatte formazioni, portatrici di interessi particolari, che danno luogo ad un fenomeno che potremmo definire neocorporativismo frammentato.

La cosa riguarda soprattutto, come è naturale, il mondo del precariato, nel quale coesistono e confliggono gruppi e interessi diversi: precari storici, sissini, vincitori di concorso, insegnanti di sostegno abilitati e non, e poi ancora – come si è visto in occasione delle sentenze TAR-Consiglio di Stato sull’inserimento “a pettine” nelle graduatorie – precari interessati a spostarsi in altre province facendo valere il proprio punteggio e precari interessati a blindare la “propria” graduatoria provinciale facendo valere una specie di ius soli contro gli incursori.

I sindacati “tradizionali”, all’interno dei quali – soprattutto al tempo dell’unità d’azione – si faceva con successo la mediazione tra i diversi interessi, fanno sempre più fatica a svolgere questo ruolo, dovendo in primo luogo preoccuparsi dei propri iscritti, in larga parte personale a tempo indeterminato e pensionati. Mentre le mediazioni tentate a livello politico e legislativo si sono rivelate fragili, contraddittorie e ad alto rischio di contenzioso.

C’è da ritenere che per uscire da questo labirinto occorrerebbe cambiare radicalmente paradigma. Ma su questo il dibattito è solo agli inizi.