Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

Dialetto sì o no, fine del tormentone d’estate

Un breve cenno del ministro Gelmini, in risposta alla domanda di un giornalista in margine al Meeting di Rimini, ha probabilmente chiuso il capitolo dell’insegnamento del dialetto nelle scuole. Il ministro è stata precisa e concisa: “Penso che la scuola debba occuparsi di trasmettere ai ragazzi la conoscenza dell’identità, della storia dei luoghi, della cultura di un determinato territorio“, ha detto, “non mi soffermerei troppo sul dialetto“.

La chiusura alla richiesta della Lega è sembrata a tutti piuttosto netta, anche se è stata accompagnata dal riconoscimento dell’importanza delle tradizioni locali: “l’identità è fatta anche di tradizioni locali“. Delle quali si terrà conto, sembra voler dire il ministro, nel quadro dell’autonomia didattica delle scuole, e cioè all’interno dei piani di studio ordinari, e non creando una materia nuova. Su questa tematica peraltro influirà certamente anche l’evoluzione del rapporto Stato-Regioni in materia di attuazione del Titolo V della Costituzione, che ne prevede la competenza legislativa concorrente in materia di istruzione.

Non sembra convinto Umberto Bossi, anche se ha precisato di non voler fare polemiche. “Per parlare all’estero occorre l’inglese“, ha detto, “ma per parlare con la propria gente il dialetto va benissimo“. Una considerazione, quest’ultima, perfettamente condivisibile. Ma anche compatibile con l’opinione della grande maggioranza dei linguisti che la “scuola” dei dialetti è la famiglia, la comunità locale, e non la scuola come istituzione formale, che non può che avere una unica lingua da insegnare, quella di tutti gli italiani.

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