
Il tormentone di questo Ferragosto, per quanto riguarda la scuola, è il dialetto. “Dovrebbe essere obbligatorio – ha detto Bossi secondo quanto riportano i giornali di oggi – “sono intenzionato a preparare una legge. Se vuole in questi giorni il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini può venire qui a Ponte di Legno a parlarmi. Il dialetto dovrebbe essere insegnato attraverso la musica e le canzoni popolari. Me lo ha spiegato mia moglie, che insegna e di queste cose se ne intende“.
Da notare che, seguendo evidentemente le indicazioni del Senatùr, il quotidiano della Lega La Padania sta pubblicando articoli in dialetto: giovedì è toccato al dialetto veneto, ieri al piemontese e oggi al lombardo.
Va detto peraltro che il lombardo della Padania è in realtà il milanese, che è sensibilmente diverso dal bergamasco o dal mantovano. L’unico milanese che forse avrebbe potuto unificare i molti dialetti lombardi in una sola versione – che a quel punto sarebbe stata una lingua – Alessandro Manzoni, scelse invece il fiorentino della grande tradizione letteraria come riferimento nazionale. E non si preoccupò di far parlare il fiorentino al lecchese Renzo Tramaglino.
Quale dialetto si insegnerebbe nelle scuole? Quello di Milano, di Sondrio o di Abbiategrasso (il paese citato a un famoso congresso DC da Ciriaco De Mita: “mi si rimprovera di non avere un nonno di Abbiategrasso…”)? Non ha torto il pugliese ministro Fitto, nell’intervista pubblicata oggi dal Corriere della Sera, a dire che “magari ogni singolo paesino vorrebbe insegnare il suo di dialetto”. Che facciamo a quel punto, chiede assennatamente il ministro, “trasformiamo le scuole della Repubblica in una Torre di Babele“?
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