Lo mando a scuola prima? Il punto di vista della CGIL

Riceviamo da Morena Piccinini della Segreteria Cgil confederale, Responsabile del Dipartimento Welfare e Nuovi Diritti, questa interessante riflessione sugli anticipi di iscrizione alla scuola primaria e alla scuola dell’infanzia.

Lo mando a scuola prima?

In questo periodo molti genitori di bambini e bambine intorno ai 5 anni sono alle prese con il dilemma dell’anticipo nell’accesso alla scuola primaria.

Lo mando a scuola un anno prima? Visto che molti altri bambini anticipano, cosa faccio perdere a mio figlio se non lo fa?

I pareri degli esperti sono molto diversi tra loro.

In alcuni prevale la valutazione per cui oggi i bambini sono sottoposti a tanti stimoli informativi, tecnologici, culturali,  sia nella famiglia che nella scuola dell’infanzia, che certamente rendono questi bambini mediamente molto “più svegli” e più pronti all’apprendimento di quanto avvenisse appena pochi decenni fa. E’ evidente che questa considerazione fa propendere per la positività nell’iniziare la scuola dell’obbligo qualche mese o anche un anno prima del tempo fissato classicamente.

Al contempo tanti altri ci ricordano che insistere su queste abilità è una forzatura rispetto alla maturazione psichica dei bambini e che per loro non è facile “sopportare” lo stress di essere enfant prodige. L’ansia da prestazione, cioè la preoccupazione di non tradire le aspettative che i genitori e le maestre formulano su di lui, possono portare al bambino un’inquietudine che gli fa perdere serenità e spesso anche fiducia in se stesso.

Da parte nostra, riteniamo che il modo in cui il decisore pubblico ha  affrontando la questione sia il peggiore possibile. Il precedente ministro Moratti  ha aperto e  di fatto incentivato l’anticipo scolastico sia per la scuola dell’infanzia che per la scuola primaria senza prevedere nulla circa la modifica della organizzazione scolastica conseguente a questa novità, e l’attuale governo ricalca semplicemente quel progetto.

Riteniamo sia una cosa molto negativa rendere sostanzialmente ordinario l’anticipo senza porsi il problema del fatto che i bambini che anticipano si troveranno in classe con altri bambini più grandi di loro di un anno, anche un anno e mezzo.

A quell’età il processo di sviluppo è certamente molto rapido, ma proprio per questo sono anche molto più accentuate le differenze, anche nell’apprendimento, a pochi mesi di distanza e ancor più a oltre un anno di distanza tra bambini della stessa classe. E tutto ciò, unito all’alto numero di bambini presenti nella stessa classe, provoca facilmente l’effetto “attesa” per i bambini più sviluppati e l’effetto “rincorsa” per i bambini più giovani. Né i genitori, al momento della iscrizione, possono essere caricati anche della responsabilità di sapere in anticipo se il loro figlio riuscirà a tenere lo stesso ritmo di apprendimento dei bambini più grandi.

Il rischio connesso al problema delle classi non omogenee per età è stato ben valutato per la composizione delle classi nella scuola dell’infanzia, tanto da istituire le  “sezioni primavera” per i bambini tra i due e i tre anni, con diversa composizione numerica e personale adeguatamente formato per la particolarità dell’età dei bambini. La stessa cosa non è avvenuta per la scuola primaria, nonostante abbia una delicatezza ancora maggiore.

Per questo, nella situazione attuale, l’anticipare l’entrata nella scuola primaria di sei mesi, o addirittura di un anno, se si pensa alla “primina” ancora diffusa in alcune zone del Sud d’Italia, non serve al bambino, e sarebbe bene che l’informazione rivolta ai genitori tenesse conto di tutta la complessità della materia.

Si ha piuttosto l’impressione che molti genitori siano indotti all’anticipo non tanto partendo dallo sviluppo del bambino, quanto per trovare risposta alla mancata generalizzazione dei nidi dell’infanzia che produce successivamente effetto trascinamento nell’anticipare anche la scuola primaria, quindi da una condizione di necessità.

Ma questo dovrebbe ancor più far riflettere e sollecitare affinché il sistema scolastico sia in grado di garantire anche quantitativamente  le risposte più appropriate per ogni età del bambino, impedendo che scelte così delicate per il futuro scolastico e di crescita dei bambini siano dettate in prevalenza, se non in modo esclusivo, da condizioni di bisogno della famiglia.

Morena Piccinini

Segreteria Cgil confederale, Responsabile del Dipartimento Welfare e Nuovi Diritti

Roma, 18 febbraio 2009

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