Scuola a 5 anni: i precedenti e gli ostacoli

La proposta di riforma radicale del sistema di istruzione italiano con ingresso anticipato di un anno, avanzata ieri dal presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha colto un po’ tutti di sorpresa.

È sembrato il canto del cigno o un grido di disperazione di un premier che potrebbe essere arrivato al capolinea e per aver perso, a quanto sembra, il sostegno del suo partito.  

Questo pezzo da ’90 avrebbe potuto essere calato subito, all’inizio del mandato e oggi potrebbe essere al centro del dibattito.

Se, tuttavia, Letta supererà lo scoglio della crisi con il PD e con il suo segretario, Matteo Renzi, dovrà affrontare ben altre insidie per portare in porto la sua riforma del sistema.

La proposta dell’anticipo dell’obbligo scolastico a 5 anni, avanzata a suo tempo dall’allora ministro Berlinguer nel 1996, trovò l’ostilità dei sindacati, delle associazioni degli insegnanti e degli Enti Locali, molti dei quali gestivano scuole dell’infanzia.

Il ministro dovette rivedere il suo piano e, pur di concludere l’intero percorso scolastico a 18 anni (per allinearsi all’Europa), ripiegò sull’abbreviazione interna del percorso, proponendo l’accorpamento di elementare e media nell’unica scuola di base della durata di sette anni, anziché otto (5 + 3). Non se ne fece nulla.

Anche il ministro Letizia Moratti, con il medesimo obiettivo di arrivare al diploma a 18 anni, pensò di mettere mano al percorso triennale della scuola dell’infanzia, ma si accontentò di prevedere l’anticipo (facoltativo) di ingresso nella scuola elementare con un’abbreviazione di 4 mesi.

Sperava forse in un accoglimento caloroso da parte delle famiglie ma non fu così: oggi si avvale di questa possibilità di anticipo circa il 15% degli aventi diritto.

Se l’anticipo, come si vede, non piace, come reagirebbero le famiglie se la proposta Letta venisse messa in atto obbligando tutti i bambini ad andare a scuola a cinque anni?