
Di fatto nello schieramento che si oppone all’attuale governo coesistono almeno tre interpretazioni del concetto di ‘scuola pubblica’.
La prima è quella di chi si riconosce senza riserve nella legge n. 62 e non fa distinzioni tra scuole statali e scuole paritarie per quanto riguarda il carattere pubblico del servizio da esse reso, senza escludere che la parità giuridica possa progressivamente diventare anche economica. Questa è la posizione assunta da una minoranza del Pd (ex popolari come Fioroni), e da una parte del ‘terzo polo’ (Udc, Api).
La seconda interpretazione, maggioritaria nel Pd, è quella di chi non intende andare oltre quanto stabilito dalle legge n. 62 e ha subito malvolentieri le miniaperture del governo Prodi-Fioroni verso la scuola paritaria. Per molti di coloro che si riconoscono in questa posizione la ‘vera’ scuola pubblica è quella statale, e verso quella paritaria bisogna avere la massima cautela, effettuando controlli rigorosi.
La terza accezione del concetto di scuola pubblica è quella di chi non ha mai accettato la legge n. 62, considerandola sbagliata se non anticostituzionale: per i fautori di questa interpretazione l’unica scuola meritevole di essere considerata pubblica è quella statale.
Non c’è dubbio, anche per l’enfasi posta sulla difesa della Costituzione del 1948 e sul suo articolo 33 comma 3 (quello del “senza oneri per lo Stato”), che nella manifestazione del 12 marzo abbiano prevalso i sostenitori della seconda e terza interpretazione, ma con una apparente maggiore propensione dei sostenitori della seconda a solidarizzare con quelli della terza piuttosto che della prima interpretazione.
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