Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

La matematica si impara se il docente la rende interessante

I problemi iniziano alle primarie. Le indicazioni nazionali sono il compendio di tecnicismi ripetitivi. La porta privilegiata alla matematica, oltre all’aritmetica, non è l'algebra ma la geometria

Un manuale per gli studenti di Scienze della formazione primaria ma anche un libro per esorcizzare il timore della matematica così diffuso a tutte le età ma soprattutto nella popolazione adulta. “Pensare in matematica”, edito da Zanichelli, è l’ultimo lavoro di Giorgio Israel, docente di matematiche complementari alla Sapienza, scritto in collaborazione con la moglie Ana Millán Gasca, che insegna la stessa disciplina a Roma Tre. Ne parliamo con il Prof. Israel, che risponde anche a domande che, prendendo lo spunto dal suo libro, toccano temi di viva attualità come i TFA (Tirocini Formativi Attivi) e il concorso a cattedre recentemente bandito dal Miur.
Oggi pubblichiamo la prima parte dell’intervista, nella quale l’autore illustra le caratteristiche e le finalità del libro. Lunedì metteremo online la seconda parte, nella quale Giorgio Israel risponde alle domande più legate all’attualità.

Professore, qual è stata la principale motivazione che ha indotto lei e sua moglie a pubblicare questo libro in questo momento?

“Il fatto che il libro esca in questo momento è accidentale perché, com’è facile immaginare, un’opera di più di 500 pagine ha dietro di sé un lungo lavoro. Le motivazioni sono di lunga data e si riconducono tutte all’esigenza di offrire uno strumento per rispondere alla crescente ignoranza matematica, tanto più paradossale in una società che vive sul quantitativo, in cui la matematica è sottesa a quasi ogni aspetto della vita e ha un ruolo centrale nella scienza e nella tecnologia. Le esperienze che hanno avuto un ruolo decisivo nella costruzione del libro sono soprattutto tre: l’insegnamento di mia moglie, che tiene il corso di matematica per i futuri maestri (nell’ambito della formazione primaria, nella Facoltà di Scienze della formazione all’Università di Roma Tre); la mia esperienza in una materia “anomala” in un corso di laurea in matematica, come storia della matematica (ma anche altre esperienze didattiche in modellistica e teoria dei giochi); e l’esperienza diretta con i nostri figli e i loro compagni. Secondo noi, i difetti principali dell’insegnamento scolastico della matematica sono: l’incapacità di suscitare interesse per la disciplina, ridotta a tecnicismi ripetitivi e a un praticismo avvilente; e un approccio “pusillanime” e rinunciatario, consistente nell’abbassare sempre di più il livello credendo così di rendere più facile e attraente la materia, come quando si copre di zucchero una pillola amara. Ma non c’è zucchero che possa rendere simpatica una purga. E noi non crediamo che la matematica sia una purga indigesta da edulcorare. L’altro giorno, un’amica raccontava che la sua bambina, all’ingresso della terza elementare, stava “ripassando” i numeri fino a 100 e che si era “dimenticata” le divisioni… Chiunque abbia fatto una seria esperienza con i bambini sa che il contare può essere appreso senza limiti di sorta fin dai primi anni di età: mio figlio, a due anni e mezzo, appeso alle mie spalle nello zainetto di montagna, contava per tutta la gita, per il gusto di superare ogni limite, fino a farci venire il mal di testa… Come diceva il grande Federigo Enriques, l’intelligenza matematica è precoce e tarparla per timore di far troppo o per teorie pedagogiche fasulle è il modo per creare persone matematicamente disastrate. Se un bambino “dimentica” le divisioni, vuol dire che gli sono state insegnate come una pratica meramente algoritmica e non in termini concettuali, ovviamente attraverso esempi concreti. È la visione della matematica come “scienza procedurale”, come talora si dice sfortunatamente.

Nessuno si sognerebbe di addestrare un bambino a correre imponendogli di camminare piano anche se può fare molto di più; neppure se avesse difficoltà motorie: in questo caso si adotterebbero strategie opportune e rinunciare a priori sarebbe disastroso. Qui invece si procede all’opposto: si costringe ad andare più piano che sia possibile e quando emergono difficoltà – e ovviamente emergono, proprio perché andare troppo piano è piatto, ripetitivo e noioso – si tende subito, senza tentare strategie alternative, a classificarle come strutturali, come “disturbi di apprendimento”.

Va detto con forza che i problemi iniziano tutti alle primarie. Leggo che il ministro Profumo ha dichiarato che le nostre primarie sono le migliori del mondo e che le difficoltà sono colpa delle scuole medie. È singolare che un ministro dell’istruzione sia tanto disinformato e non sappia che le primarie di oggi non hanno nulla a che fare con le elementari di un tempo, le quali, beninteso richiedevano riforme, ma non il sommovimento caotico che è stato loro imposto. Basta leggere le indicazioni nazionali che si sono susseguite: sono il compendio di tecnicismi ripetitivi e della “pusillanimità” didattica di cui si diceva. Ho partecipato alla commissione per le Indicazioni nazionali per le primarie: quando si è visto cosa proponevamo siamo stati liquidati senza preavviso, per poter disastrare ancor di più le già disastrose indicazioni nazionali precedenti. Il confronto tra la proposta che feci per la matematica e quella attuale parla da solo”.

Nel libro si sostiene l’importanza di una impostazione ‘culturale’ e non soltanto tecnica, nell’insegnamento e apprendimento della matematica, ma – almeno per quanto riguarda gli adulti – le esigenze emergenti sono di tipo pratico, dal leggere una statistica o una busta paga a capire che cos’è lo spread. In che modo il vostro libro può soddisfare questa esigenza?

“Non v’è capacità tecnica e pratica al mondo che possa essere acquisita stabilmente se non attraverso l’interesse. Altrimenti, si dissolverà un istante dopo, e più e più volte, come nel caso della bambina che dimentica la divisione. Il cervello non è come la memoria di un computer che registra tutto: seleziona ciò che è interessante e scarta ciò che è fastidioso o spiacevole. La matematica non è un insieme di tecniche e di ricette pratiche, ma un sistema concettuale estremamente vasto e complesso che ricorre a forme di ragionamento molto articolate che non sono affatto qualcosa di “alieno” come talora si tende a far credere. Pertanto, a nostro avviso, se si vuole destare interesse nella mente dell’allievo occorre convincerlo che la matematica gravita attorno a temi che non sono meno vicini a noi, che non sono meno interessanti, coinvolgenti e vitali di quelli che si pongono in altre discipline che sembrano più vicine alla dimensione umana. Per questo insistiamo sulla necessità di “restituire la matematica alla cultura”, di trattarla come una forma di conoscenza pienamente umana, e non come una tecnica repulsiva ma “indispensabile”, come un farmaco.

Il nostro libro non è un manuale didattico per gli alunni, ma un libro rivolto agli insegnanti, in primo luogo ai maestri, ma utile anche agli insegnanti delle scuole secondarie e, poiché parte da zero, è rivolto a chiunque voglia entrare nel mondo della matematica, anche ai genitori che vogliono seguire il percorso dei loro figli. È un libro rispettoso dell’autonomia metodologica dell’insegnante – un rispetto troppo spesso violato, soprattutto dalla burocrazia ministeriale – e che offre una gamma di problemi e di temi che spesso vengono anche lasciati aperti alla riflessione. Vogliamo mostrare come la matematica abbia origine in funzioni fondamentali dell’operare umano e quindi i suoi concetti apparentemente astratti si leghino a temi della storia, dell’archeologia, della filosofia, dell’antropologia, della linguistica, dell’esplorazione del mondo fisico e della vita associata. Se l’insegnante riesce a trasmettere questo e a suscitare interesse, l’acquisizione delle tecniche – anche quelle che servono nella vita di tutti i giorni – sarà un corollario quasi automatico.

Una chiave fondamentale è stimolare nel bambino e nel ragazzo il piacere di risolvere un problema, di esplorare quante vie diverse si possano seguire per risolverlo, di approfondirne il senso e le implicazioni. È inimmaginabile quale entusiasmo possa suscitare il veder crescere in sé la capacità di capire e risolvere un problema, soprattutto se non è insulso e vuoto di senso, se non è la ripetizione meccanica di un conto. Leggere una statistica o la busta paga sarà poi l’ultima delle difficoltà.

Quando difendiamo questa via concettuale – che è tutto fuor che astratta! – non facciamo una petizione di principio o una scommessa, ma ci basiamo su esperienze didattiche che ne hanno mostrato la validità e l’efficacia ed hanno accompagnato la redazione del libro.

Ancora un’osservazione. L’acquisizione dei concetti matematici si fa mediante esercizi e problemi (anche se spesso i due termini, per semplicità, vengono confusi). Possono consistere nell’applicazione di una tecnica e, in tal caso, hanno un carattere inevitabilmente ripetitivo: si tratta di un passaggio inevitabile, ma il rischio peggiore è fermarsi ad esso, per pigrizia dell’insegnante e dell’allievo, con l’esito inevitabile della noia e di rendere la disciplina repellente. I problemi propriamente detti sono il sale della matematica, ma occorre selezionarli in modo graduale e intelligente. Per esempio, l’algebra non è una buona porta alla matematica perché pone problemi o troppo meccanici e ripetitivi o troppo difficili. Invece la porta privilegiata alla matematica è, oltre all’aritmetica, la geometria, che offre una gamma di approcci vastissima e infinitamente graduata, oltre che aderente all’intuizione comune. Nel nostro libro insistiamo sul fatto che la matematica è tutta costruita sull’interrelazione tra aritmetica e geometria, che però esprimono anche visioni diverse e, in certa misura, irriducibili”.

(fine prima parte)

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