XIII Congresso ANP: rieletto Giannelli

Di Alessandro Artini e Cecilia Martinelli

Al congresso dell’Associazione Nazionale Presidi (ANP), tenutosi dal 5 al 7 aprile a Roma, diversamente dai congressi passati, in cui era presente una pluralità di competitor per la presidenza, il solo candidato era il presidente uscente, Antonello Giannelli, che è stato rieletto con un consenso pressoché unanime. Il fatto, tuttavia, che l’elezione fosse scontata, non ha inficiato la qualità e la vivacità del dibattito che sin dalla relazione iniziale di Giannelli e dai saluti del ministro Valditara e della sottosegretaria Frassinetti, ha posto in evidenza alcuni temi fondamentali.

Il PNRR, ad esempio, pur costituendo una formidabile occasione di rilancio delle scuole, probabilmente realizzerà solo parzialmente un tale obiettivo. Ciò vale anzitutto per gli edifici scolastici, in gran parte risalenti al secolo scorso e non sempre sicuri rispetto alle attuali normative, né provvisti delle debite certificazioni. Anche il novero dei nuovi edifici in fase di costruzione è sicuramente insufficiente rispetto al fabbisogno. In generale, il PNRR ha gravato enormemente sui dirigenti delle scuole e sulle segreterie, il cui organico, spesso esiguo, non sempre è preparato ad affrontare la complessità delle procedure. Le segreterie, infatti, comprendono una parte del personale amministrativo che ha avuto accesso a un profilo per il quale non era preparato, provenendo dai ruoli di collaboratore scolastico. La mancanza di un’apposita selezione, che dovrebbe essere attuata dalle scuole stesse, comporta la perdita di qualità delle attività e la loro inefficacia (se non peggio…). Le scuole, poi, avvertono il peso della tempistica concentrata del PNRR, che non consente un’adeguata implementazione. Sarebbero stati necessari tempi più distesi, che avrebbero permesso di definire i bisogni in modo calibrato e coerente con l’identità autonoma delle scuole. 

L’immobilismo legislativo è un’altra criticità emersa dalla relazione di Giannelli e ripresa in molti interventi dei delegati congressuali. L’obsolescenza della normativa è evidente, così come lo sono i suoi effetti negativi sul sistema scolastico. Siamo a poco più di un secolo dalla riforma gentiliana del 1923, che continua a riverberare i suoi effetti su una didattica che permane eccessivamente teorica, a cinquanta anni dai decreti delegati del 1974 e a venticinque dal DPR n. 275 che regola l’autonomia scolastica. In un contesto, come quello attuale, in cui le rivoluzioni scientifico-tecnologiche e i loro impatti si susseguono a ritmo sempre più incalzante, è ormai improrogabile delineare una strategia di riforme. Si ha invece l’impressione che alcuni interventi, come quello che istituisce i docenti tutor e orientatori, rispondano maggiormente alla logica emergenziale dell’agenda setting mediatica (che non tiene conto del fatto che i problemi via via esplosivi si radicano in malanni cronici), senza intaccare minimamente le radici strutturali del sistema. Non si può più considerare la scuola come uno strumento di welfare occupazionale, in cui il basso livello di professionalità di alcuni, accolto come una sorta di destino inevitabile, sia controbilanciato da retribuzioni scarse per tutti. La stessa autonomia scolastica permane come una dimensione di facciata, priva di poteri effettivi, alla quale assegnare i compiti che lo Stato e l’amministrazione non svolgono direttamente. Un’autonomia dimidiata cui corrisponde, purtroppo, una funzione dirigenziale imbrigliata da circolari ministeriali che non sembrano ispirate alla ricerca di efficienza, ma piuttosto animate dalla volontà di mantenere la pace sindacale. Anche la bontà delle intenzioni indirizzate a ripristinare l’autorevolezza (o l’autorità) della scuola, a partire da quella dei docenti confligge con la facoltatività (nei fatti) della formazione per questi ultimi. Nessuna categoria professionale che ambisca al riconoscimento delle proprie specificità può eludere la formazione e l’aggiornamento. C’è da capire come si possa restituire piena dignità alla funzione docente in presenza di tali contraddizioni. Nel corso del dibattito, inoltre, è emerso ancora una volta il tema del middle management, cioè del gruppo di docenti che supporti il dirigente nell’espletamento delle funzioni più importanti. Esso già esiste nei fatti, ma non trova adeguati riconoscimenti, né economici né di status.

Il presidente Giannelli, infine, ha evidenziato il ruolo strategico di ANP come punto di riferimento culturale per il mondo della scuola. Le novità, alcune inquietanti, che riguardano il mondo giovanile richiedono un sostanziale ripensamento dei paradigmi educativi scolastici. Si pensi all’incremento cospicuo degli interventi sanitari rispetto al malessere dei giovani, ai tentativi di suicidio adolescenziale, al ritiro sociale degli hikikomori e alla disgregazione della relazionalità fisica, sostituita artificiosamente dalle connessioni informatiche. Tutto ciò si traduce nella necessità di individuare le linee strategiche di una profonda riforma della scuola, che non può consistere nei blandi interventi finora posti in essere. Vorremmo ricordare, infine, che – come ha sostenuto un insigne premio Nobel – se vogliamo vedere anticipatamente come sarà la società di domani, occorre guardare la scuola di oggi. E un tale sguardo non infonde ottimismo.

 

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