Università e test di ammissione: in difesa della grattachecca

La singolare polemica sull’ammissibilità di un test riguardante i gusti della ‘grattachecca’ (la granita dei romani), assegnato ai candidati a seguire i corsi riguardanti le professioni sanitarie presso la Sapienza di Roma, ha riproposto i termini di una disputa antica tra i sostenitori di prove selettive ‘mirate’ esclusivamente ad accertare il grado di preparazione/competenza per il genere di studi superiori che gli studenti vogliono intraprendere e i fautori di prove che amplino tale verifica alla cosiddetta ‘cultura generale’, comprensiva di riferimenti a notizie di attualità e di cronaca.

Non sappiamo se abbia ragione il rettore della Sapienza Luigi Frati, che ha detto che “tutti i giovani conoscono cos’è la grattachecca” tranne i milanesi, ma ci sembra giusto sottolineare che le domande di cultura generale possono mettere in luce caratteristiche del candidato che le sole domande ‘tecniche’ o settoriali non rivelano: il grado di informazione generale, la gamma degli interessi, la curiosità per le cose del mondo, la memoria: tutte doti che favoriscono buone performances nell’apprendimento in generale, come dimostra un’ampia casistica anche internazionale.

Il problema non è quello di stabilire “se” le domande di cultura generale servano come indicatori di successo negli studi di qualunque genere (la risposta è sì), ma di capire “quali” domande sia utile inserire nei test di ammissione, evitando possibilmente quelle che si caratterizzano per eccentricità o per eccessivo localismo, come forse è accaduto nel caso dell’innocente, e ottima, grattachecca.