Una lettera aperta per il ministro

Lettera aperta del Comitato Insegnanti precari al Ministro. Così il testo tra l’altro: “Sappiamo che il 29 giugno si parlerà di noi in Commissione alla Camera dove, due settimane prima, siamo stati invitati per un’audizione nella quale abbiamo esposto le ragioni della nostra categoria. Precari lo siamo in tanti. Da tanto. Per questo ci chiamano storici. Siamo quelli che, da oltre vent’anni, servono lo stato quando allo stato serve, lì dove occorre, per il tempo e gli insegnamenti disponibili. Quando ci va di lusso mettiamo insieme 18 ore, da ottobre a giugno, altrimenti pochi giorni e quattro denari all’anno.

Lo facciamo per passione e per punti: è vero. Ma, la scuola – ne sia certo – la conosciamo di dentro e di fuori. Siamo quelli che, a settembre inoltrato, ancora attendono la nomina. E, per questo, entriamo in servizio quando è troppo tardi per partecipare alla fase progettuale. La beffa, poi, è che ne usciamo troppo presto per verificare l’esito della nostra attività didattica. L’assunzione in ritardo ci preclude la conoscenza preventiva degli alunni mediante i test d’ingresso e ci esclude dalla stesura dei progetti didattici collegiali, costringendoci alla estemporaneità, alla "navigazione a vista". Il sistematico ricorso, nella scuola italiana, ai "panchinari della cattedra" impedisce la costituzione di una vera squadra  e la realizzazione di organici percorsi multidisciplinari.  E non è tutto

La precarietà nega la continuità didattica e l’attuazione di percorsi formativi di lungo respiro. Priva i giovani "di punti fermi" culturali, metodologici e – perché no – affettivi, essenziali nei processi di crescita.  E’ questa incertezza a minare la qualità, proprio  dove ce n’è più bisogno (nelle scuole di frontiera, dove la percentuale di precari è prevalente), costringendo chi è già povero culturalmente e socialmente ad accontentarsi del meno e del peggio. Al di là dell’affinità fonetica, la qualità è incompatibile con la precarietà.