Un corso per insegnare ai superdotati

La scuola statale italiana, a differenza di altre che praticano lo streaming (distribuzione degli alunni in classi di differente livello), ha da sempre puntato su classi eterogenee, formate da individui di diversa capacità, attitudine, potenzialità.

Lo ha fatto per ragioni sia lato sensu politiche, di equità nel trattamento degli allievi, sia psicopedagogiche, nella convinzione che la coesistenza di studenti con diverse capacità possa essere di stimolo e aiuto anche per i meno dotati. Caso mai poteva accadere, ed è spesso accaduto, che si formassero corpi docenti più omogenei e affiatati in determinati corsi e sezioni (A, B, E…), per questo particolarmente richiesti dalle famiglie.

Di conseguenza gli insegnanti italiani hanno in genere calibrato la loro didattica su una figura media di studente, premiando con voti (o giudizi) positivi quelli che si collocavano sopra lo standard delle prestazioni attese e cercando in vario modo di portare gli altri almeno ad una soglia minima di ‘rendimento’ accettabile. Impresa, quest’ultima, alla quale essi hanno spesso dedicato la maggior parte delle loro energie e competenze professionali (soprattutto nella scuola dell’obbligo) finendo per trascurare (“tanto ce la fanno da soli”) i più dotati. Che si sono spesso annoiati e demotivati, soprattutto se non stimolati dalla famiglia di provenienza.

Un grande spreco di talenti secondo Giuseppe Bertagna, già consulente del ministro Moratti (prima fase) e ora direttore del centro per la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento dell’università di Bergamo, che ha pensato di istituire un corso di perfezionamento per insegnare agli insegnanti come riconoscere e trattare sul piano didattico (ma non solo) gli allievi particolarmente dotati. Una iniziativa da seguire con interesse in un Paese come il nostro che ha finora dedicato maggiore attenzione ai meno dotati. Peraltro con scarso successo, come mostrano i dati sulla dispersione.