Costo standard sì o no? Si accende il dibattito sulla possibilità di definire e utilizzare un costo standard per alunno nella scuola pubblica (statale+paritaria) per assegnare i fondi pubblici “a tutte le scuole sulla base del numero di iscritti”.
Il tema è stato approfondito nel corso del seminario organizzato la scorsa settimana presso la Camera dei Deputati dall’On. Centemero (FI), dove – accanto a numerosi pareri favorevoli – vi sono stati anche interventi critici.
In particolare Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, ha espresso tre obiezioni metodologiche all’uso del costo standard come strumento di rimborso dei costi sostenuti dalle scuole paritarie. In primo luogo, calcolare il costo standard è un esercizio estremamente complesso: la letteratura economica suggerisce una varietà di metodi, pochi dei quali hanno finora dato risultati solidi. In occasione del Rapporto 2010 sul federalismo scolastico, e anche successivamente, la Fondazione Agnelli ha tentato di stimare le determinanti del costo standard a livello di singola scuola, ma gli esiti non sono stati soddisfacenti. In secondo luogo, la nozione stessa di costo standard perde significato – ha spiegato Gavosto – se non è abbinata a un certo livello di prestazione, ritenuto essenziale, da parte delle scuole: questo comporta che si definisca e si misuri un obiettivo di performance delle scuole, a fronte del quale va calcolato il costo minimo per conseguirlo. Ma quale sia questo obiettivo – un livello di apprendimento, un tasso di dispersione, un grado di socializzazione, un stadio sviluppo della personalità – non è affatto ovvio e pone interrogativi non banali sullo scopo stesso della scuola. In terzo luogo, secondo il direttore della Fondazione Agnelli il concetto di costo standard non riflette un costo medio per allievo pari a circa 7.000 euro come sostenuto da molti nell’ambito del seminario, ma un costo marginale o incrementale di lungo periodo. La domanda che uno si deve porre, pertanto, è quanto costerebbe allo Stato inserire un allievo in più nelle proprie strutture: questo è quello che andrebbe riconosciuto alle scuole paritarie. Infatti, non avrebbe senso rimborsare alle scuole paritarie le componenti di costi fissi di sistema che lo Stato già sostiene: l’attività delle amministrazioni centrali e regionali (circa 200 milioni), il mantenimento del sistema informatico (600), la partecipazione alle indagini internazionali (125) e via discorrendo. A parte la scuola dell’infanzia, il costo dell’inserimento nella scuola di un 5% circa di allievi in più che frequentano le paritarie (dal 6,9% delle primarie al 4% delle medie) sarebbe nettamente inferiore alla richiesta formulata dalle scuole paritarie.
Fin qui il parere di Andrea Gavosto. Il dibattito è aperto.
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