Sono fondate le ragioni del no ai test Invalsi?

Il decreto sulle semplificazioni affronta al Senato l’ultima prova, prima della sua conversione in legge definitiva. Come riferito anche da Tuttoscuola, dovrà superare l’ostacolo frapposto da quasi 600 emendamenti presentati da vari gruppi politici.

Tra gli altri, un emendamento presentato alla Commissione Affari Costituzionali intende stoppare il comma 2 dell’art. 51 che prevede l’obbligatorietà per tutte le scuole di sottoporre gli alunni alle prove Invalsi per la rilevazione degli apprendimenti (attualmente circoscritti a italiano e matematica e applicati alle classi seconde e quinte della primaria, prime della secondaria di I grado e seconde del II grado).

L’emendamento intende cancellare l’obbligo delle prove che dovrebbero svolgersi, quindi, a campione (ma le scuole scelte avranno l’obbligo di sottoporsi alle prove?)

Le ragioni che giustificherebbero l’emendamento sono queste: “vuole rendere i test più scientifici (a campione, come nel resto d’Europa), più fruibili per le scuole (per favorire il processo di autovalutazione) e contenerne i costi che l’art. 51 intende scaricare sulle scuole e sui docenti, obbligandoli a gestirli gratuitamente”.

Ragioni che lasciano un po’ perplessi. La maggior scientificità dei test non dipende certamente dalla forma campionaria. La scelta a campione non favorisce per niente l’autovalutazione delle scuole, se non per le sole che sono state scelte: se il campione è pari, ad esempio, al 20% delle scuole, quell’altro 80% su cosa fa l’autovalutazione?

La questione della gratuità della prestazione di lavoro dei docenti (che sembra essere stata la prima vera ragione che ha dato vita al “no-Invalsi, grazie”) si potrebbe forse risolvere attraverso la contrattazione di istituto, prevedendo la corresponsione di compenso per le prestazioni aggiuntive.