Scuola, verso quale futuro?

Il dibattito sulla riforma della scuola italiana, scatenato dall’importante documento “Anticipare per governare il cambiamento. Il Sistema di Istruzione e Formazione di fronte alle sfide del cambiamento generazionale” elaborato dall’INDIRE nei mesi passati in occasione dell’audizione dell’Istituto presso la Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali della transizione demografica, ci pone di fronte a una prospettiva complessa e multifattoriale. Le proposte, pur animate da un lodevole intento di modernizzazione e di risposta alle sfide contemporanee, sollevano legittime perplessità e rischi che non possono essere ignorati. Se da un lato l’idea di trasformare la scuola in un “ecosistema educativo” appare lungimirante, dall’altro le criticità insite in questo modello meritano un’analisi altrettanto approfondita.

La transizione demografica è la prima e ineludibile sfida. Il costante calo della popolazione studentesca e la conseguente chiusura dei plessi, in particolare nelle aree interne e nel Mezzogiorno, rendono insostenibile il modello tradizionale. A questo si aggiungono i divari di apprendimento e di genere, con l’Italia che fatica a tenere il passo in settori chiave e con un gender gap che rischia di compromettere il futuro delle nuove generazioni. La fragilità dell’Istruzione degli Adulti (IdA) completa un quadro di inefficienze che richiede una risposta. Si delinea così un vero e proprio cambio di paradigma portando con sé la necessità di ridisegnare anche la professione docente, introducendo tre nuove figure chiave. La prima è quella del docente core, un professionista stabilmente radicato in un plesso e incaricato della continuità e della coerenza del progetto educativo. A questa figura si affianca il docente itinerante, che opera su più sedi scolastiche per garantire l’insegnamento di materie specialistiche anche nei plessi più piccoli o remoti. Infine, il tutor di prossimità è una figura che va oltre l’insegnamento tradizionale per agire come punto di riferimento civico e sociale, collaborando con gli enti e le associazioni locali per integrare la scuola nel tessuto della comunità. Insieme, queste tre figure professionali sono il pilastro di una “scuola-rete” che, trasformando i plessi in “community hub” aperti al territorio, può superare le sue criticità e diventare il motore di una rigenerazione territoriale e comunitaria. “La visione – sostengono i ricercatori dell’Indire – si allinea con le Indicazioni Nazionali del MIM che promuovono una scuola comunità educante, aperta al territorio e in grado di valorizzare la partecipazione degli anziani come tutor”. Trovo interessante il raccordo intergenerazionale, inserendo nelle scuole gli anziani, soprattutto della scuola, come aiuto a svolgere attività esperienziali per brevi periodi. Si rafforzerebbe quel dialogo tra passato e presente al fine di costruire un futuro sostenibile. D’altra parte in passato questa esperienza in alcune scuole in via sperimentale è stata fatta, anche se sporadicamente. Oggi questa esperienza può essere ripresa con una visione diversa e forse più costruttiva.

Tuttavia, la soluzione proposta – una “scuola-rete” e la ridefinizione del ruolo del docente – solleva seri interrogativi. L’idea di uno “smantellamento” delle figure tradizionali a favore di professionisti specializzati come il docente core, il docente itinerante e il tutor di prossimità potrebbe minare l’autonomia e l’autorità pedagogica del singolo insegnante. Il rischio è che la relazione tra docente e studente, un pilastro storico dell’educazione, venga frammentata e indebolita da una didattica “a intermittenza”. Come può un docente itinerante conoscere a fondo le dinamiche di ogni classe e le esigenze individuali degli studenti che incontra solo sporadicamente?

Allo stesso modo, la figura del tutor di prossimità, pur con la nobile intenzione di connettere la scuola al territorio, potrebbe confondere i ruoli e caricare il personale scolastico di responsabilità non strettamente didattiche, trasformando la scuola da luogo di istruzione a centro di servizi sociali con il rischio di appesantire la struttura organizzativa. L’identità stessa dell’istituto scolastico è in discussione. “I presìdi scolastici (le sedi fisiche) potranno ripensarsi come centri civici e laboratori di comunità, ovvero hub multifunzionali aperti alla comunità che offriranno spazi modulari per laboratori, luoghi di collaborazione pubblico-privato, servizi di supporto personalizzato (per l’apprendimento, l’orientamento, e il benessere), punti per il riconoscimento delle competenze (anche non formali e per adulti), spazi per attività extrascolastiche e servizi di benessere/salute”.

La specializzazione dei plessi in “community hub” potrebbe portare a una perdita di uniformità nell’offerta formativa, costringendo gli studenti a spostarsi tra diverse sedi con evidenti disagi logistici per le famiglie. Invece di risolvere il problema delle piccole scuole, si potrebbe creare un sistema ancora più fragile e dispersivo, dove la scuola perde la sua connotazione di luogo fisico e culturale unitario.

In sintesi, mentre il bisogno di cambiamento è innegabile, è fondamentale che la “rigenerazione culturale” proposta non si traduca in un processo di frammentazione che disgreghi il tessuto educativo. Le perplessità che emergono non sono un ostacolo al progresso, ma un richiamo alla cautela, affinché il futuro della scuola italiana sia costruito non solo sull’innovazione, ma anche sulla salvaguardia di quei valori e di quelle relazioni che l’hanno storicamente resa un faro di civiltà e di cultura.

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