Scuola media: in dieci anni la situazione non migliora. Apprendimenti insoddisfacenti e divari territoriali e sociali evidenti. Il rapporto della Fondazione Agnelli

“Rispetto a dieci anni fa, quando pubblicammo il nostro primo Rapporto, la situazione della scuola media non è migliorata: gli apprendimenti restano insoddisfacenti, i divari territoriali e le disuguaglianze sociali sono ancora più evidenti, i docenti non sono meglio formati né la didattica è stata rinnovata, rimanendo molto tradizionale. Nei prossimi mesi – se la pandemia darà tregua – sarà necessario riportare la secondaria di I grado al centro dell’attenzione pubblica per farle ritrovare una missione che garantisca efficacia ed equità: consentire a tutti gli studenti di acquisire apprendimenti di qualità, fare crescere la loro capacità di studiare in autonomia, orientare a scelte più consapevoli degli studi successivi”. Così Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, ha spiegato in sintesi il senso del Rapporto
scuola media 2021, che è stato presentato oggi ai media.

I risultati del Rapporto: gli studenti

A distanza di 10 anni, la qualità degli apprendimenti degli allievi di secondaria di I grado resta critica, inferiore non solo a gran parte degli altri paesi avanzati, ma anche ai livelli che ci si poteva attendere sulla base dei risultati alla primaria. Il Rapporto segnala, ad esempio, come nelle ultime rilevazioni internazionali TIMSS (matematica e scienze) gli apprendimenti in matematica degli studenti italiani siano sempre ampiamente sopra la media internazionale in IV primaria, ma in III media scendano decisamente al di sotto. Grazie a elaborazioni sui dati Invalsi del 2019 (relativi alla situazione pre-pandemia, non condizionati dal Covid), il Rapporto offre un quadro ancora più nitido di come e quando si manifestino le disuguaglianze sociali e i divari soprattutto territoriali, con effetti negativi sugli apprendimenti.

“Le disuguaglianze dovute all’origine socio-culturale, misurate in base al titolo di studio dei genitori – ha spiegato Barbara Romano che curato il Rapporto – sono ben visibili già alla scuola primaria, con una differenza in media di 26 punti tra uno studente figlio di laureati e uno studente i cui genitori hanno la licenza elementare. Ma poi deflagrano alla scuola media, arrivando fino a 46 punti, che equivalgono, alla fine del ciclo, a una differenza di quasi tre anni di scuola”.

Se al termine della primaria gli allievi nei diversi territori fanno registrare risultati simili, dopo i tre anni di scuola media il Sud resta molto attardato: 17 punti in meno per l’area che comprende (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia) e 27 punti in meno per l’area che comprende (Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia). I divari territoriali, che la primaria riesce a contenere, nella scuola media esplodono più che in passato.

A differenza di 10 anni fa, si manifestano anche i divari di apprendimento che penalizzano gli studenti di origine straniera rispetto ai loro pari con genitori italiani. Stabili rispetto alla primaria sono, invece, le differenze di genere, con le ragazze indietro rispetto ai ragazzi in matematica e scienza: nel corso del tempo le distanze si sono ridotte, ma soltanto per via di un più consistente peggioramento dei maschi.

Ma non è solo questione di apprendimenti insoddisfacenti: gli studenti italiani delle medie non hanno, infatti, una percezione positiva del loro stare a scuola, che anzi tende a peggiorare nel corso del triennio, con un aumento dello stress e una diminuzione della soddisfazione, che già non era elevata all’inizio.

Il Rapporto dà, inoltre, evidenza di quanto conti un orientamento ben fatto e ben recepito da ragazzi e famiglie per scelte più consapevoli: i dati di ricerca mostrano che quando gli studenti scelgono gli indirizzi formativi che più rispondono alle proprie competenze e interessi, seguendo i consigli orientativi che derivano anche da prove psicoattitudinali, la probabilità di essere bocciati al primo anno delle superiori si riduce considerevolmente, mentre è quasi doppia per chi non segue il consiglio orientativo.

I risultati del Rapporto: i docenti

Le difficoltà degli studenti in larga misura si spiegano con quelle dei loro docenti: molte criticità che già 10 anni fa ostacolavano i docenti di scuola media risultano, infatti, confermate o aggravate. Nell’a.s. 2020-21 erano 202.000 i docenti della secondaria di I grado (a tempo indeterminato e determinato), circa il 13% in più del 2011 (nello stesso periodo la popolazione studentesca alle medie è scesa del 3%). Poiché il numero di docenti di ruolo è rimasto quasi invariato (144.000 mila nel 2011, l’anno scorso poco più di 142.000), l’incremento si deve interamente alla crescita dei docenti precari: gli incarichi annuali o ‘fine al termine delle attività didattiche’ erano circa 35.000 (19%), l’anno scorso quasi 60.000 (30%). In particolare, nell’a.s. 2020-21 era drammatica la percentuale di precari nel sostegno (60% del totale del sostegno).

A dispetto delle attese, nonostante le numerose assunzioni in ruolo della legge della Buona Scuola del 2015 e il recente aumento dei pensionamenti, non si è verificato in questi anni il ringiovanimento dei docenti di ruolo della secondaria di I grado che auspicavamo nello scorso Rapporto: l’età media era poco più di 52 anni nel 2011, ora è poco meno. Mentre 1 docente su 6 ha 60 anni e oltre, coloro che vanno in cattedra prima di 30 anni sono invece un minuscolo drappello: 1 su 100.

La scuola media, inoltre, è anche il grado più soggetto alla “giostra degli insegnanti”: da un anno all’altro soltanto il 67% dei docenti rimane nella stessa scuola (83% nella primaria, 75% nelle superiori, dati dell’a.s. 2017-18), con le prevedibili conseguenze negative per la qualità didattica.

Nella scuola media, infine, 8 docenti su 10 si sentono ben preparati nei contenuti disciplinari, mentre solo 4 su 10 si sentono adeguati nella didattica della propria materia e nella pratica d’aula. Sorprendentemente, però, soltanto l’11% pensa di avere bisogno di ulteriore formazione didattica.

I limiti della formazione ricevuta dagli insegnanti della scuola media per quanto riguarda la didattica e la pratica d’aula sono rivelati anche da altri dati di ricerca, che mostrano come – sebbene non sistematicamente – spesso essi siano meno efficaci dei colleghi della primaria nelle strategie didattiche, come pure nella creazione di un clima in classe favorevole agli apprendimenti e alla crescita personale.

Le proposte della Fondazione Agnelli

Dalle criticità emerse discendono alcune proposte di politica scolastica. In primo luogo, occorre lavorare sugli insegnanti, valorizzandoli, e sulla qualità dell’insegnamento. Servono (i) percorsi di formazione iniziale per la secondaria con un forte orientamento alla didattica, a partire da una laurea magistrale per l’insegnamento; (ii) qualsiasi direzione prenda la riforma del reclutamento, criteri di abilitazione molto selettivi con prove pratiche per valutare le competenze didattiche; (iii) formazione in servizio obbligatoria, che comprenda un costante aggiornamento dei metodi di insegnamento e una periodica valutazione; (iv) miglioramento dello status professionale e delle motivazioni dei docenti (incentivi di carriera e retribuzioni), anche per attirare verso l’insegnamento i migliori laureati.

In secondo luogo, la didattica va modellata sulle esigenze specifiche della scuola media. Intanto, con metodologie più coerenti all’evoluzione cognitiva ed emotiva degli adolescenti (gruppi di apprendimento fra pari, strategie metacognitive); inoltre, pensando la scuola media come percorso di orientamento al futuro, con strumenti e metodologie didattiche che favoriscano la scoperta e la valorizzazione delle inclinazioni personali, dando indicazioni per le scelte successive (apprendimento per mezzo di progetti individuali, didattica per compiti di realtà, apprendimento socioemotivo).

Infine, la Fondazione Agnelli crede necessaria un’estensione del tempo scuola alla secondaria di I grado, con la scuola del
pomeriggio come scelta ordinamentale. Tempi più lunghi e distesi favoriscono le pratiche didattiche orientate a percorsi di apprendimento individualizzati e quelle attività (sportive, artistiche ed espressive, musicali, applicative, laboratoriali) fondamentali anche per lo sviluppo di competenze non cognitive.

La priorità degli apprendimenti, più che mai nella scuola media

Ripensare la secondaria di I grado è dunque un’altra delle priorità che il nostro sistema d’istruzione dovrà affrontare con le risorse del PNRR, dopo che la pandemia ne ha messo in luce criticità antiche e gravi? “Pensiamo che oggi per la scuola ci sia una sola priorità, che riassume tutte le altre: fare crescere gli apprendimenti dei ragazzi – ha spiegato Gavosto – Il riscatto degli apprendimenti è allora ovviamente fondamentale nella scuola media, dove esplodono divari e disuguaglianze. Le politiche di cui si parla nel PNRR vanno per forza declinate nel grado scolastico più in difficoltà: in particolare, l’orientamento, la formazione e il reclutamento dei docenti, la didattica, proprio le aree di intervento che abbiamo indicato”.

Non sembra invece necessaria, in questa fase, una ristrutturazione dei cicli che porti al superamento della media: se ne è parlato spesso, ma non c’è evidenza convincente che la riorganizzazione possa da sola, senza un intervento sulla qualità della didattica e dei docenti, portare a benefici significativi.

“Oggi apprendimenti inadeguati nella secondaria di I grado possono condizionare in modo decisivo il futuro di un ragazzo – ha concluso il direttore della Fondazione Agnelli – forse ancora di più che negli altri gradi scolastici, tenendo conto del momento focale di sviluppo cognitivo ed emotivo dei ragazzi a quell’età. Non si può lasciare la scuola media ancora indietro”.

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