Scuola e mercato/5. Il fallimento del 3+2

E’ sempre più chiaro, anche se il mondo universitario stenta ad ammetterlo, che anche il 3+2 si è dimostrato nei fatti una scelta strutturalmente sbagliata. Salvo rare eccezioni la laurea triennale è percepita dagli studenti come qualcosa di provvisorio e incompleto e la mancanza di sbocchi nel mondo del lavoro induce molti a continuare negli studi.

Così una misura che era stata assunta anche per consentire ai giovani italiani di ridurre di un anno la durata media quadriennale degli studi universitari – e all’università italiana di allinearsi ai sistemi che già prevedevano una prima uscita dopo tre anni – si è trasformata di fatto in un prolungamento degli studi a cinque anni.

Ma c’è di più: l’esperienza ha dimostrato che non erano infondati i timori di coloro che paventavano l’incapacità dell’università italiana di tener fede alla promessa di caratterizzare in senso professionale le lauree triennali, riservando gli approfondimenti di carattere più generale e teorico al biennio successivo. Malgrado le centinaia di corsi di laurea triennali con denominazioni formalmente professionalizzanti i piani di studio hanno continuato a prevedere discipline di tipo spiccatamente accademico, insegnate quasi sempre con metodi tradizionali, che trovano poi la loro naturale continuità e completamento nel biennio successivo.

L’errore strategico? Non aver saputo costruire in Italia, in uscita dagli studi secondari, una vera, seria, organica alternativa all’università: un sistema di trienni davvero professionalizzanti e quindi essenzialmente centrati su insegnamenti e apprendimenti di carattere pratico, esperienziale.