
La prima puntata dell’inchiesta di Tuttoscuola sull’istruzione non statale ha visto come protagonista il Partito Democratico, e in particolare l’onorevole Rosa De Pasquale, componente della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera. Quindi, è stata la volta della Lega Nord, con Paola Goisis, segretario della stessa Commissione di Montecitorio. Ora è il turno di un altro partito dell’opposizione: l’Udc di Pierferdinando Casini. Abbiamo raccolto il parere dell’on. Luisa Capitanio Santolini, membro della VII° Commissione e della Commissione Bicamerale per l’Infanzia.
On. Santolini, come valuta, a distanza di dieci anni, i risultati delle legge n. 62/2000 sulla parità scolastica?
Purtroppo la valutazione è amara e negativa non per colpa della legge (che in ogni caso poteva essere fatta meglio e con maggiori “garanzie” di applicazione) ma per colpa della cattiva volontà dei Governi che da allora si sono succeduti, vanificandola nei fatti.
Sul finanziamento delle scuole paritarie ci sono tuttora opinioni molto contrastanti, che vanno dal rifiuto di qualunque tipo di sostegno economico all’idea che la preclusione costituzionale (“senza oneri per lo Stato”) vada interpretata nel senso che lo Stato non può avere in nessun caso l’obbligo di finanziare le scuole non statali, anche se paritarie, ma ne può avere la facoltà, ovviamente sulla base di una legge. Qual è la Sua opinione in proposito?
La diatriba sul “senza oneri per lo Stato” è vecchia di decenni e francamente è roba da prima Repubblica! Ha fatto il suo tempo e ci sono decine di pubblicazioni scientifiche che spiegano la “ratio” di quell’inciso a partire dagli Atti della Costituente. Chi la interpreta in modo restrittivo (il senza oneri riguarda solo la istituzione di nuove scuole e basta) sa di avere torto ma è mosso da pregiudizi ideologici che vogliono far passare le scuole paritarie come “scuole dei ricchi e dei preti”. La verità è che le scuole cattoliche (di quelle parlo) sono a pagamento contro la loro vocazione e costrette a questo da uno Stato che tradisce la Costituzione e nega la libertà di scelta educativa delle famiglie. Ricordo, per inciso, che grazie alle scuole paritarie lo Stato risparmia 6 miliardi di euro all’anno (tanto dovrebbe pagare se quei ragazzi frequentassero la scuola statale e se lo facessero salterebbe l’intero sistema).
Gli interventi per il diritto allo studio, che sono di competenza regionale, non fanno distinzione di trattamento tra alunni di scuole statali e paritarie. Potrebbe essere questa la strada per venire incontro alle maggiori spese dei genitori che scelgono la scuola paritaria?
Il diritto allo studio è altro rispetto al diritto-dovere della scuola e della formazione. Certo di fronte alla latitanza dello Stato la via regionale può essere un escamotage ma non è la risposta che mi aspetto. Occorre un finanziamento adeguato alla Legge 62/2000 e non affidarsi alle Regioni che, come è noto, presentano situazioni anche economiche profondamente differenti.
Che cosa pensa della detraibilità fiscale delle spese sostenute dai genitori che iscrivono i loro figli alle scuole paritarie?
Penso che sia la strada più semplice, più facilmente applicabile che davvero sancirebbe la libertà di scelta educativa delle famiglie.
L’ipotesi più radicale è che a tutti i genitori venga dato un buono studio, corrispondente a un costo standard calcolato a livello nazionale, spendibile indifferentemente nelle scuole statali e in quelle paritarie. Che cosa ne pensa?
Anche questa è una strada possibile, anzi migliore della precedente e quando ero Presidente del FORUM DELLE FAMIGLIE la formalizzammo in un documento che riscosse un certo successo. L’allora Ministro dell’Istruzione Lombardi disse che era una delle proposte sulla scuola “più intelligente degli ultimi anni”. Ogni bambino nasce con un fagottino in cui lo Stato versa il costo della sua istruzione fino al compimento dell’obbligo scolastico calcolato come lei correttamente chiarisce. Sarebbe una misura di giustizia in ritardo di 60 anni ma è proprio quella maggiormente osteggiata dai numi tutelari della scuola statale che confondono ideologicamente come scuola pubblica.
Nelle ultime settimane si è parlato spesso della costituzione di albi regionali degli insegnanti abilitati, dai quali le istituzioni scolastiche autonome, statali e paritarie, possano attingere direttamente, scegliendo, senza rigidi vincoli, i docenti migliori. Rispetto all’obiettivo di qualificare l’offerta formativa delle scuole, quali elementi positivi o negativi ritiene che abbia la proposta?
Non ho nulla in contrario agli albi regionali e ritengo che il reclutamento deve essere fatto non dalle singole scuole, ma da reti di scuole nel territorio. Detto questo sono contraria a limitare la mobilità dei docenti e a mettere vincoli rigidi ed eccessivi. Va premiato il merito e questa è una strada (non certo l’unica).
Nelle settimane scorse è stata avanzata la proposta di definire graduatorie regionali che, rispetto alle attuali graduatorie che graduano i docenti secondo punteggi previsti dalle norme, dovrebbero introdurre nuovi requisiti finalizzati ad assicurare maggiore stabilità dei docenti. La maggiore rigidità che conseguirebbe dalla proposta può assicurare maggiore qualità al servizio? Se sì, sarebbe opportuno che venisse estesa anche alle scuole paritarie?
La qualità della offerta formativa transita attraverso tutto l’insieme della vita della scuola. Non bastano da soli né gli insegnanti, né i presidi, né le strutture, né le risorse. Occorre la volontà di perseguire gli obiettivi fissati e di coinvolgere in questo tutte le componenti della scuola a partire dalle famiglie. Per questo è decisiva la governante della scuola di cui nessuno parla. La stabilità dei docenti che si traduce in continuità didattica è un valore che va riconosciuto e perseguito d’accordo con i docenti. Il turn over in certe classi e in certe scuole lo pagano, in termini formativi, gli studenti e non è più tollerabile. Come non è tollerabile che su uno stesso posto, per meccanismi rispettosi delle leggi vigenti, si paghino tre stipendi (purtroppo succede!) Detto questo una “maggiore rigidità” non va automaticamente a favore di una maggiore qualità del servizio (vedi risposta precedente) e la rigidità non deve essere una condanna o una esclusione. Occorre ragionare serenamente su questi temi senza barricate ideologiche o di “categoria” esclusivamente per il bene della scuola e dei ragazzi che la frequentano.
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