Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 292/2016, con riferimento ai criteri e ai parametri per l’assegnazione dei contributi alle scuole paritarie, ha accolto la tesi dell’ANINSEI e condannato il MIUR a risarcire ad ANINSEI le spese, i diritti e gli onorari del giudizio con il quale, secondo quanto riferisce in un comunicato Luigi Sepiacci, presidente dell’Associazione, “la Sesta Sezione del Consiglio di Stato dà definitivamente ragione all’ANINSEI e torto al MIUR perché riconosce pari dignità e la stessa tipologia di trattamento nell’accesso ai contributi pubblici, e ai relativi sussidi, sia agli Enti Profit che agli Enti No Profit”.
È stato infatti annullato, perché ritenuto illegittimol’art. 4 del d.m. n. 46 del 2013 sui criteri di riparto dei fondi, nella parte in cui identifica le scuole paritarie che svolgono il servizio scolastico senza fini di lucro, quali destinatari in via prioritaria rispetto alle altre scuole paritarie, dei fondi pubblici.
“Scuole paritarie senza fini di lucro”, spiega Sepiacci, “non sono quelle gestite da soggetti giuridici senza fini di lucro, secondo il criterio soggettivo, ma sono quelle che svolgono il servizio scolastico senza fini di lucro realmente, ovvero senza corrispettivo – vale a dire a titolo gratuito – o dietro il versamento di un corrispettivo solo simbolico, per l’attività didattica prestata. Tale comunque da coprire solo una minima parte del costo effettivo del servizio”.
“In sintesi”, sottolinea il presidente ANINSEI, “le scuole gestite da enti senza scopo di lucro e gli enti con scopo di lucro sono da equiparare nella concessione di contributi diretti o indiretti, quando richiedono alle famiglie degli studenti i corrispettivi per le prestazioni didattiche svolte. In assenza della condizione, da valutare in termini rigorosamente oggettivi, della gratuità o della quasi gratuità del servizio, il vantaggio selettivo e cioè i contributi e le esenzioni concessi solo ad alcuni Enti operanti nel settore (gli enti senza fini di lucro) costituisce “aiuto di Stato”, e si incorre perciò nel divieto e nel regime di illegittimità sancito più volte in sede comunitaria dalla Commissione Europea e, nelle sue pronunce, dalla Corte di Giustizia Europea”.
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