Riorganizzazione del sistema: Ministero pigliatutto

Il Decreto Ministeriale del 17 gennaio 2025 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 82 dell’8 aprile 2025), che regolamenta l’assegnazione dei compiti agli uffici dirigenziali non generali dell’amministrazione centrale potrebbe sembrare a prima vista un modo burocratico per applicare la riforma del ministero che il nuovo governo ha inaugurato, ma a ben guardare sembra piuttosto una summa di funzioni, anche le più minute, che il ministero stesso si è attribuito per tornare ad una centralizzazione delle competenze nella gestione del sistema scolastico.

Non si usa più il linguaggio delle ordinanze, ma si preferisce parlare di azioni di supporto e di linee guida o indicazioni nazionali, anche perché il riferimento legislativo non è omogeneo, ma ogni intervento è sempre indirizzato alle norme generali che competono allo stato e fa leva sulla priorità del finanziamento statale, in modo che l’attività dell’amministrazione prevalga su tutti gli altri soggetti che vengono chiamati in causa.

Ogni compito a cui la scuola deve assolvere ha nel ministero un ufficio amministrativo che ne presidia la realizzazione: quarantaquattro pagine di decreto, come si fa da sempre, pongono il ministero in una posizione quasi di tutela nei confronti dei rischi di disgregazione del sistema stesso a seguito dei provvedimenti che nell’ultimo quarto di secolo hanno cercato di offrire maggiore autonomia alle scuole e di decentrare le competenze gestionali verso i territori.

La riforma della pubblica amministrazione ed il federalismo fiscale avrebbero dovuto ammodernare una struttura burocratica per renderla più vicina alle esigenze dei cittadini e delle realtà locali, ma tutto questo non è mai andato a buon fine e quindi il ministero, al quale fin dall’unità d’Italia era stata consegnata la gestione di tutto l’apparato, è rimasto ben saldo al comando, a fronte di una debolezza politica, a cominciare dalla partecipazione sociale, per arrivare fino alla riforma del titolo quinto della Costituzione.

La legislazione di quegli anni divideva le competenze in tre segmenti: sull’offerta formativa prevaleva l’intervento statale, per assicurare gli stessi impegni su tutto il territorio nazionale; sulla domanda le competenze andavano decentrate alle scuole autonome, perché si potesse fare di esse tante comunità dove prevalessero gli aspetti educativi dell’apprendimento e della crescita delle persone e sulla programmazione territoriale si dovevano esercitare le prerogative delle regioni e degli enti locali. Tutto però rimase a mezz’aria, la Conferenza Stato-Regioni che doveva presiedere ai raccordi tra i diversi poteri, in questo ultimo periodo ha lavorato ben poco; nonostante l’autonomia delle scuole sia stata elevata a dignità costituzionale, non sono mai stati chiariti i poteri delle stesse e ad esse non è mai stata riconosciuta una rappresentanza ed una capacità di interlocuzione con i vari organismi territoriali. E’ stata l’amministrazione ad occupare tutti gli spazi e gradualmente, anche con provvedimenti non ordinamentali, di cui gli altri soggetti in campo si sono disinteressati o per paura di essere chiamati ad assumere impegni di carattere finanziario, ha ripreso in mano tutta la gestione, come evidenzia il decreto in questione.

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