Riformare ancora l’esame di stato

Tutti i ministri dell’Istruzione degli ultimi anni hanno messo mano alla riforma dell’esame di stato. Sarà che della scuola è il segmento più impattante sull’opinione pubblica, o sarà che il passaggio tra il ciclo secondario e l’istruzione superiore o il mondo del lavoro affida sempre meno alla scuola la verifica delle competenze richieste ai giovani, che ogni governo cerca di mediare tra la tradizione culturale che ancora avvolge il nostro sistema scolastico e le richieste che provengono dall’esterno, siano esse di natura professionale, legate all’uso di strumenti tecnologici, o dal confronto internazionale.

Con la legge 164/2025 anche questo Governo non rinuncia all’impresa, anche se a ben guardare si tratta di un provvedimento omnibus nel quale di esame si parla molto poco ed alla fine le modifiche al precedente ordinamento non sono particolarmente significative. Quale può essere dunque la ragione per volere anche un piccolo cambiamento? Forse quella di reprimere, come negli altri provvedimenti relativi alla valutazione, un comportamento degli studenti considerato anomalo e offensivo nei confronti di questa annuale parata della burocrazia valutativa, e cioè il rifiuto di sostenere il colloquio se la somma dei risultati conseguiti nelle precedenti prove e nel credito scolastico consentiva comunque il raggiungimento di un punteggio atto a superare l’esame.

Infatti l’elemento più eclatante del provvedimento in questione è l’annullamento dell’esame stesso qualora il candidato non sostenga tutte le prove previste. Quindi anziché chiedersi le motivazioni di tali atteggiamenti, si preferisce ripristinare l’autorità e la minaccia di far perdere praticamente un anno prima della conquista del diploma.

Tutto qui? No, c’è qualche altro piccolo ritocco che vale la pena di rimarcare per cercare di motivare in quale direzione la scuola dovrebbe andare, secondo le autorità ministeriali, a partire dalla revisione della tappa finale. Il primo è la denominazione: torna l’esame di maturità. Si tratta di una visione altalenante con quella di esame di stato. Si deve pensare dunque che ritorni una maggiore attenzione alla persona dello studente e non tanto al valore del titolo che consegue: la valutazione degli apprendimenti è inserita nel grado di maturazione personale, di autonomia e responsabilità acquisito, tenendo conto anche dell’impegno dimostrato nell’ambito scolastico e nelle altre attività coerenti con il corso degli studi, in una prospettiva di formazione integrale della persona.

Un tale obiettivo pedagogico non potrebbe mai sfociare nell’annullamento dell’esame per motivi inscrivibili nel predetto grado di maturazione personale, anche perché se la maturità assume, come si dice nel provvedimento, una funzione orientativa, mai potrebbe essere abbassato a punizione, ma occorrerebbe sempre innalzarlo verso la prosecuzione degli studi o l’inserimento nel mondo del lavoro, ricercando le motivazioni per le quali gli studenti, che si sono rifiutati di sostenere il colloquio, vivono un certo disagio di fronte a questo rito di passaggio, per spingerli ad andare oltre. Infatti la legge chiede di tenere conto anche della partecipazione alle attività scuola-lavoro, che magari offrono una maggiore motivazione, nonché all’insegnamento dell’educazione civica.

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