Ricciardelli, la non riforma degli istituti tecnici quinquennali: un rischio che il Paese non può permettersi
Intervista a cura di Orazio Niceforo
Il governo appare concentrato sul modello 4+2 e sembra trascurare la necessità di riformare e rilanciare anche i percorsi quinquennale dell’istruzione tecnica. Su questo si riscontra una diffusa preoccupazione e perciò abbiamo di nuovo interpellato l’ing. Valerio Ricciardelli, uno dei maggiori esperti italiani in materia chiedendogli qualche suggerimento e una cornice di riferimento concettuale destinata a chi dovrà occuparsene.
A che punto siamo e perché dobbiamo preoccuparci?
Innanzitutto ricordiamo nuovamente che il Paese ha bisogno con estrema urgenza di una istruzione tecnica di eccellenza e, per diverse ragioni non può essere realizzata con la riforma 4+2. Gli effetti di quest’ultima, ammesso che generino un effettivo valore aggiunto, si vedranno solo a partire dal 2030 in avanti, un’era geologica, considerando i grandi cambiamenti, previsti e imprevedibili, che si succederanno nel frattempo. E saranno comunque effetti quantitativi insignificanti, osservando che il numero degli iscritti stimati in finanziaria per il triennio 2026-2028 riguarda l’esigua percentuale del 2-3% – di cui solo la metà ad indirizzo industriale – sul totale della popolazione scolastica che invece si iscriverà ai percorsi tecnici e professionali quinquennali.
Allora che cosa ci sarebbe da riformare prioritariamente?
Assolutamente l’istruzione tecnica quinquennale, lasciata finora in grande disparte. Per ora, sembra che gli addetti opereranno solo un veloce “aggiornamento” degli ordinamenti del 2010, senza intervenire molto sui profili degli 11 indirizzi (che restano di fatto gli stessi del 2010, sia per il settore economico che per quello tecnologico). Purtroppo, non si andrà oltre una minima manutenzione ordinaria dell’esistente, imposta dal fattore tempo, in quanto il Ministero deve concludere l’elaborazione dei nuovi curricoli entro metà di dicembre 2025 per rispettare la tempistica del PNRR.
Sembrerebbe poi che solo nel 2026 potranno essere elaborate delle possibili nuove “linee guida”, nelle quali saranno riprese alcune riflessioni sulla riforma in modo più ponderato e analitico, sul versante sia tecnico che metodologico.
Tutto ciò sta comunque avvenendo con grave ritardo e con il serio rischio che si vada verso una progressiva disaffezione e all’ affossamento dell’istruzione tecnica quinquennale, quel pezzo di ordinamento scolastico che, anche claudicante, per un lungo periodo ha formato la classe dirigente del Paese e che per me resta fondamentale.
Qual è dunque l’importanza attuale dell’istruzione tecnica quinquennale?
Ne ho parlato ampiamente nel mio libro Ricostruire l’istruzione Tecnica, da voi recensito, operazione che per me, come ho indicato nel sottotitolo, costituisce l’Ultima chiamata per rimanere la seconda manifattura in Europa, salvare la nostra economia e preservare il nostro welfare.
Innanzitutto, l’istruzione tecnica quinquennale che dovrebbe essere fortemente integrata con l’istruzione terziaria degli ITS in un unico sistema, è il pilastro fondamentale per la costruzione della cultura economico industriale del Paese, e quindi per la formazione di una parte importante della sua classe dirigente.
L’istruzione tecnica incide sull’economia delle imprese, sul mercato del lavoro e sulle politiche salariali, sul welfare, ed è la ragione per cui la sua riforma avrebbe dovuto essere attivata da tempo con un grande coinvolgimento di tutti i portatori di interessi, attraverso la formula degli Stati Generali e con la pubblicazione di un possibile libro bianco che indicasse quale idea di istruzione tecnica necessiterebbe il Paese per affrontare le complesse sfide che deve affrontare.
Così non è stato. Ma nemmeno è stato prodotto il piano industriale del Paese al 2030, promesso dal Ministero delle Imprese e indicato dal CNEL come il master plan di tutta la programmazione economica e sociale, comprese le politiche scolastiche che ne sarebbero derivate.
Quali sono le conseguenze sul Paese di una non buona istruzione tecnica?
Intanto si ripete ancora che mancano i tecnici, in una quantità elevata, anche se i fattori economici stanno rapidamente modificandosi in negativo. Le analisi sul famoso mismatch tra la domanda e l’offerta di personale tecnico, fatte tempo fa, potrebbero essere sostanzialmente modificate e ancor più modificabili nel prossimo futuro.
In ogni caso, il costo sopportato dalle aziende per far fronte alla mancanza di tecnici era stato stimato in quasi 50 miliardi l’anno. A questo costo va aggiunto l’effetto del non fatturato prodotto per assenza di personale, che solo stimato sul valore medio pro capite è calcolato in altre decine di miliardi. In aggiunta, siccome le performance scolastiche dei diplomati non sono molto elevate, ed è una delle ragioni per cui l’istruzione tecnica e professionale sono tuttora considerate percorsi di serie B e di serie C, si è anche generata una sovra qualificazione negativa, dovuta al possesso comunque di un diploma ma con inadeguate competenze. Ciò ha contribuito a creare il fenomeno abbastanza rilevante di una sottoccupazione improduttiva e con alto tasso di precariato. Poi, assieme alla mancanza quantitativa di tecnici, c’è anche la mancanza qualitativa di competenze adeguate nei tecnici di cui disponiamo, il che rende impossibile il miglioramento dei fattori della produttività e dell’innovazione, i due punti di maggior criticità della competitività delle imprese e quindi del Paese.
E non dimentichiamo che se siamo ancora la seconda manifattura in Europa, questa posizione non è un diritto acquisito, ed è messa a rischio dall’emergere, nelle filiere industriali, di paesi che stanno passando da una manifattura grezza a una manifattura sempre più avanzata.
Come mettere mano alla riforma deli istituti tecnici quinquennali in queste condizioni?
Dovremmo chiederci innanzitutto come siamo arrivati a questa situazione, perché è l’esito di un progressivo impoverimento di un pezzo così importante del nostro ordinamento, che da percorso in grado di formare la classe dirigente è diventato di fatto un percorso percepito come di serie B.
È palese che già il riordino degli indirizzi fatti nel 2010 non era coerente con il bisogno di cultura industriale che essi avrebbero dovuto servire per formare tecnici e competenze per il sistema economico, e non c’è stato (e non c’è ancora), un monitoraggio in itinere che avrebbe permesso di intervenire per tempo con alcune misure correttive necessarie.
Così siamo arrivati alla situazione odierna e occorrerebbe partire da un capitolato di riforma, ben fatto, innanzitutto per descrivere la realtà quantitativa e qualitativa della situazione e poi per definire le linee guida degli interventi da fare. Non serve, in questa fase un capitolato per la formulazione dei dettagli, intesi per esempio i quadri orari. Questo è il successivo processo di individuazione e di dosaggio dei contenuti, ma dapprima va rivista criticamente l’impalcatura complessiva dove andare ad inserire i nuovi contenuti.
Il capitolato dovrebbe poi essere preceduto da una analisi numerica molto approfondita che non c’è. Anche voi stessi di recente avete indicato, e con una certa preoccupazione che, in coincidenza con l’inizio delle lezioni, l’Ufficio statistica del Ministero non ha pubblicato il Focus “Principali dati della scuola”. E non mancano solo questi dati, mancano tutti i numeri per fare una analisi completa.
Quindi andrebbe fatta una lettura critica degli indirizzi attuali?
Certamente, sarebbe la prima cosa da fare, ma per ora non la si farà. Se leggiamo cosa è scritto a riguardo degli indirizzi attuali, ci rendiamo immediatamente conto del loro disallineamento con la realtà. Si dovrebbe, invece, esporre con chiarezza l’offerta formativa dell’ordinamento scolastico assicurando la sua coerenza con il fabbisogno di cultura, saperi e competenze di cui il nostro Paese necessita. Per avere una funzione informativa, orientativa e attrattiva verso l’offerta scolastica, i contenuti rappresentati dovrebbero essere confezionati con i linguaggi propri di una comunicazione corretta ed efficace, come dovrebbe essere la comunicazione pubblica istituzionale. Osservando che operiamo in una economia globale e molte nostre aziende fanno parte delle filiere di imprese internazionali, o appartengono a gruppi internazionali, i contenuti dell’offerta scolastica pubblicati dal Ministero potrebbero essere scritti anche in differenti lingue ed essere il biglietto da visita della nostra istruzione tecnica, del secondo Paese manifatturiero in Europa. E invece, già nella attuale comunicazione ufficiale, emergono grandi criticità di esposizione, che rappresentano la prima area del cantiere cui mettere mano.
Un’altra osservazione che balza all’occhio, e non è l’unica, riguarda uno degli indirizzi economici, quello dell’“Amministrazione, finanza e marketing”, tra le cui funzioni con compaiono alcuni processi fondamentali dell’amministrazione delle imprese, come il processo di vendita e tutto quello che ne consegue, dimenticando così che la funzione commerciale è il processo chiave di ogni azienda, di qualunque settore esso sia.
Pertanto, dapprima bisognerebbe agire sui disallineamenti dovuti alle incoerenze, e poi entrare nel merito delle obsolescenze dei contenuti
Entrando nel merito del capitolato cosa raccomanderebbe?
Limitiamoci per ora agli indirizzi tecnologici, la cui impalcatura presenta incoerenze e obsolescenze che si trascinano dal passato.
Ogni indirizzo tecnologico, nel bene o nel male, è stato costruito per conoscere e per produrre tecnologia monovalente. È ancora il vecchio modello dell’istruzione tecnica, mai rivisto. Oggi invece serve conoscenza per operare negli ambiti dove si applicano più tecnologie insieme. Tali “ambiti”, non indicano tanto un luogo fisico quanto un processo aziendale, e quindi un modello organizzativo. Per definirlo si deve entrare nelle “grammatiche scolastiche”: è palese che non è sufficiente ragionare solo sulla verticalità delle tecnologie. Occorre saper operare con le tecnologie nei loro ambiti trasversali. Ciò significa, in primis, che un curriculum scolastico deve essere costruito su tre dimensioni della conoscenza: quella tecnologica con le sue applicazioni, quella organizzativa e quella delle risorse umane. Questa visione d’insieme è assolutamente necessaria anche per le iperspecializzazioni, e la sua trasversalità è fondamentale in ogni indirizzo tecnologico. Ed è proprio nelle dimensioni organizzativa e delle risorse umane che sono collocati i saperi organizzativi e gestionali che devono integrare e completare le parti tecnologiche.
È indubbio, poi, che la definizione di un curriculum è strettamente legata al dosaggio dei contenuti, e quindi dei livelli di approfondimento, elementi sulla cui base si andranno poi a definire i quadri orari e gli altri perimetri imposti dal capitolato. Non tutto potrà essere inserito solo in un percorso quinquennale, anche per quei percorsi che si concludono con il diploma di istruzione secondaria. Ma l’insieme dei necessari approfondimenti aggiuntivi può ben stare in percorsi professionalizzanti aggiuntivi e successivi, costruiti con grande flessibilità.
Guardando il presente con un occhio verso il futuro dovremmo immaginare il percorso dei quinquennali integrato con un piano di diversi percorsi professionalizzanti di varia durata, che possono essere definiti on demand anche in funzione delle specificità del singolo istituto: un unico sistema di cui fa parte anche l’istruzione terziaria degli ITS.
Avrebbe qualche nuovo indirizzo da suggerire?
Certamente sì, e mi riferisco all’indirizzo per il “machinery del made in Italy”: un istituto tecnico per il made in Italy, che potrebbe derivare dall’indirizzo meccatronico, con due curvature: una tecnica centrata sul “portfolio prodotti” e una commerciale centrata sui processi di vendita e post vendita del prodotto. Le ragioni della necessità di questo nuovo indirizzo sono facilmente spiegabili. Il nostro made in Italy, quello che rappresenta la maggior parte delle nostre esportazioni, è costituito dalla così detta meccanica strumentale, l’insieme di macchinari e impianti industriali di ogni tipo, per tutti i settori economici. I dazi trumpiani, siccome parte di questo export è indirizzato negli Stati Uniti, incideranno negativamente sulla nostra economia e la soluzione più ragionevole per farvi fronte è quella di cercare nuovi mercati di esportazione, che non possono essere che quelli dove nei prossimi anni ci sarà una crescita demografica importante. Mi riferisco ai numerosi paesi africani che per la loro crescita demografica sono costretti ad industrializzarsi per far fronte ai loro bisogni primari. Quindi, devono industrializzarsi e investire nei settori alimentari, del beverage, del farmaceutico, del light manufacturing, dell’energia, tutti ambiti industriali che il nostro made in Italy è in grado di soddisfare con il suo vasto portfolio per ogni tipo di esigenza. Per far fronte a questa promettente sfida servono ovviamente competenze e tecnici in grado di adeguare i prodotti da vendere nei nuovi mercati, e competenze e tecnici commerciali in grado di operare in questi nuovi mercati, dove il modello di business non è quasi mai quello usuale denominato B2B, ma un qualcosa di più complesso che coinvolge anche i governi locali attraverso la modalità B2G (Business to Government), con tutte le sue varianti. Contrariamente ad altri paesi, non disponiamo per ora delle competenze sufficienti per operare in queste nuove situazioni. Di tutto ciò ho scritto ampiamente anche nell’ultimo capitolo del mio libro.
Ha scritto qualche documento a riguardo del capitolato?
Si ho elaborato uno schema concettuale per ricondurre a una visione sistemica l’intervento riformatore degli istituti tecnici quinquennali, offrendo una cornice di riferimento per chi se ne dovrà occupare.
L’obiettivo è di aiutare a proiettare l’iniziativa di riforma in una prospettiva di medio lungo periodo, che torni a rendere l’offerta formativa promossa dall’istruzione tecnica quinquennale realmente attrattiva, in primis per i nostri studenti e le loro famiglie, ma anche per coloro che dopo gli studi universitari intendano cimentarsi con l’insegnamento delle sue discipline.
L’ho inviato al Ministro e a tutti i responsabili della riforma dei quinquennali. Lo si può leggere nella notizia correlata.
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